IL CICLO DELLA LANA 3 - LA TESSITURA NELLE PETRALIE

 

Leonardo Albanese
Donna madonita all'antico telaio
Museo Civico di Castelbuono


Questo post è il 3° di quelli che abbiamo dedicato al CICLO della LANA.

A mo' di introduzione, per creare la giusta atmosfera, ci affidiamo come altre volte alla penna di Mario Sabatino, il quale sa riportarci ai tempi non lontani in cui la tessitura, una competenza tipicamente femminile, era parte integrante della quotidianità del paese...

Tempu di tessiri
di Mario Sabatino

A casa di Pinuzza stavano montando il telaio. 
Per tutta l’estate era stato conservato nel granaio, le parti più delicate nella cassa. 
Non in una cassa ma nna cascia, unica e preziosa, ci potevi trovare l’abito del matrimonio, il colletto rigido, le lettere dei parenti americani. 

Già a metà strada sentivo il ritmico su e giù delle barre del telaio. 
Pinuzza, con una velocità supersonica, faceva passare a navetta da una parte all’altra dell’ordito, per fare a trama, e poi sigillava la nuova passata con un colpo di braccia, azionando con i piedi la barra inferiore.

Tutta l’estate era passata a ridurre in striscioline vecchi tessuti, vestiti usati, lenzuola lise: si annodavano i pezzi tra di loro e si formava un gomitolo. Confezionava tappeti, coperte, enormi sacchi per conservare cereali, bisacce, i viertuli.

Quando dal Nord tornò ad arrivare il cotone filato, i nostri telai sfornavano lenzuola e tovagliato vario. Ma i tappeti, le stuoie, dai colori brillanti, tipici della nostra Sicilia furono commerciati per molto tempo ancora. L’ultima tessitrice fu la signora Orlando.

Pinuzza confezionava anche le scarpe di corda. Le tomaie le cuciva la Librizzi, con una Singer speciale, il marito le informava e Pinuzza ne realizzava le suole con lo spago grosso, u rumaniaddu. Duravano un’estate ma vuoi mettere… Cu ti fici Pinuzza?


Penelope e Telemaco
telaio greco verticale
vaso a figure rosse da Chiusi


Dai tempi di Penelope ad avantieri

La tessitura della lana è stata sempre fiorente nelle Petralie sin dall'epoca greco-romana, per arrivare fino alla metà del XX secolo. Ha resistito a lungo, come nel resto delle Alte Madonie, perché vi abbondava la pastorizia.
Al Museo Civico di Petralia Soprana, ne troviamo le tracce: i pesi da telaio esposti, che si ricollegano al primo tipo di telaio inventato dall'uomo, quello verticale. Si cominciava a costruire il tessuto, contrariamente ai telai moderni, dalla parte alta. Il telaio era leggermente inclinato e i pesi, di pietra, d'argilla o di altri materiali, avevano la funzione di mantenere i fili dell'ordito tesi a piombo verso il basso, per discostarli da quelli della trama.

Avevano forma cilindrica o a tronco di piramide, conica o ellissoidale.


Pesi da telaio in argilla
di epoca greco-romana
Museo Civico di Petralia Soprana 

Successivamente subentrò l'uso del telaio orizzontale, che occupava molto più spazio.
Nel 1872 Pitrè afferma che in tutta la Sicilia “nelle case contadine il telaio è compagno inseparabile della donna: v’era sempre una stanza detta della tela, ove si tessevano lenzuola, coperte, tappeti, stuoie... i tappeti di stracci riciclati, erano di uso comune nelle case della Sicilia interna.”
L'Archivio per lo studio delle tradizioni popolari (vol. XVII) menziona specificamente al riguardo Petralia (pp. 57 e 60) specificando che "Le donne del paese tessono al telaio tappeti e coperte per uso domestico e liturgico."

Come funzionava un telaio artigianale nelle Madonie

Allestimento del telaio (armari u tularu)
Il telaio petralese è del tipo diffuso in buona parte del bacino del Mediterraneo: a struttura orizzontale, su quattro montanti verticali tenuti assieme da cinque correnti orizzontali.
Le sue parti sono i vanchii chiavuzzi per incatenare i vanchi, due sugghi (superiore e inferiore), a sidalura, tavola dove siede la tessitrice, i vastuna, che servivano per appendere i lizzi, uno per la càssita, che tiene stretto il pettine, uno pa hiocca e uno pa cavigghia ritta che serve per far svolgere il cotone avvolto nel sugghiu superiore, 2 pinnalori, bacchette di legno che servivano per dividere e mantenere ordinati i fili del cotone dell'ordito, e infine a cavigghia torta nel sugghiu inferiore, per avvolgere il tessuto ottenuto.

Struttura del telaio
Museo Civico di Petralia Soprana

Più ancora della tessitura vera e propria, era estremamente impegnativo il lavoro preliminare, armari u tularu, che doveva servire per un'intera stagione (da autunno a primavera). In estate le donne erano infatti impegnate ad aiutare i familiari nei lavori agricoli e nei bucati, nel lavare la lana, nel ripulire i materassi ecc.

Non tutte le tessitrici erano in grado di compiere questa preparazione e si rivolgevano a persone più esperte. 
Ricorda Enzo Orlando che sua nonna,  "a zza Maricchia", era molto conosciuta in paese e veniva chiamata per "cominciare il telaio", cioè per prepararlo dall'orditura fino a esere pronto per la tessitura. Veniva chiamata nelle varie case e invitata a pranzo. Non chiedeva alcuna retribuzione per il suo lavoro.

La preparazione del filato (incannari)
I filati sistemati no matassaru venivano innanzitutto avvolti per un verso, nelle canneddi grandi in vista della preparazione dell’ordito, e per l'altro in quelle piccole da inserire nella navetta (spola) per la realizzazione della trama, quando questa era appunto costituita da un filato. Se la trama doveva essere realizzata da pezzi di stoffa, per realizzare una frazzata o un carpituni, questi andavano preliminarmente ritagliati in strisce e raccolti in un cesto.


Trama in pezzi di stoffa

Ogni matassa di filato veniva disposta nell’anìmulu, cioè nell'arcolaio, e le cannelle venivano caricate  tramite u miroiaturi, arnese di ferro lungo e sottile con un volano in cima, sul quale veniva infilata la canna, e che si faceva girare velocemente con una mano nella cavità du cùoppu (parallelepipedo in legno con un incavo, che veniva tenuto stretto fra le gambe), mentre l'altra mano guidava il filo che si avvolgeva.
Il termine miriaturi (o mirgiaturi) deriva dal latino migrare, per indicare l'arnese che faceva passare il cotone dalla matassa alla cannedda.


Miriaturi e cùoppu
Foto Enzo Orlando


Una volta pronte, i canneddi si infilavano sulle lunghe stecche in ferro infisse nel cannularu, in modo tale che ognuna di esse potesse facilmente ruotare, rilasciando il filo senza che si imbrogliasse con quello delle altre canne, pur scorrendo tutti simultaneamente.


U cannularu
Foto Enzo Orlando

L'orditura (ùrdiri)
L'arnese fondamentale era l'urdituriun rettangolo in legno di castagno i cui lati recavano bastoni detti cavigghi, che davano la possibilità di regolare la larghezza e la lunghezza dell'ordito.


Urdituri 
Fotogamma dal video di Enzo Orlando

Non appena si cominciava a far scorrere il cotone da u cannilaru, i vari fili si legavano fra loro con un nodino e l'insieme si avvolgeva poi intorno alle varie cavigghi, andando continuamente da un lato all'altro dell'urdituri, fino ad ottenere la lunghezza desiderata. Per ottenere la larghezza si giravano tante volte i fili intorno ai cavigghi. Ogni 5 giri i fili si legavano tutti insieme con un laccetto, a formare na ligatura
Quando il cotone era interamente avvolto, si rimuoveva a poco a poco dall'urdituri, formando l'opra, una specie di treccia a catenella, per evitare che i fili si ingarbugliassero fra loro nel successivo trasporto al telaio dove andava montato l'ordito. 


Intrecciare l'opra
fotogramma dal video di Enzo Orlando

Montaggio dell'ordito al telaio (ammugghiari)
La treccia veniva quindi sciolta e arrotolata nel sugghiu superiore del telaio. Questa fase era delicatissima, un'operazione complessa da affidare a mani esperte, perché ne dipendeva l'esito di un intero ciclo di produzione. La tessitrice che non sapeva farlo, richiedeva l'intervento specialistico di terzi, che venivano retribuiti allo scopo.  
Per avvolgere i fili dell’ordito nel subbio superiore, erano infatti necessarie almeno quattro persone: 
Una prima si avvolgeva la treccia dell’ordito attorno ai fianchi e si sedeva per terra, dal lato del sugghiu inferiore, tenendo il filo in tensione durante tutta l'operazione.


U rastieddu
Fotogramma dal video di Enzo Orlando

Una seconda dirigeva il passaggio dei fili dal sugghiu superiore a quello inferiore con u rastieddu (sorta di pettine di legno), attraverso il quale i fili venivano guidati in maniera ordinata a sinistra e a destra.
Le altre due lavoranti avvolgevano l’ordito al subbio superiore, facendolo girare con a cavigghia dritta
Subito dopo, i fili dell'ordito venivano fatti passare, rispettando rigorosamente il loro ordine, attraverso i lizzi e il pettine e, infine, legati al subbio inferiore. 


I pinni du lizzu
Museo etnoantropologico di Blufi

Rimettaggio (Inchiri u lizzu
Nel lizzu, fatto di anelli di cotone concatenati fra loro, si infilavano due canne in croce, ciascuna chiamata lizzaruni, una dentro un anello e l'altra nell'altro, tenendo conto che i due anelli erano uniti fra loro, in modo che le canne venissero separate. Occorreva distinguere i fili pari da quelli dispari orditi nel subbio, per cui ogni filo dell’ordito andava passato tra due anelli d'u lizzu.
Si può immaginare quanto tempo e quanta pazienza servissero per queste operazioni.

U lizzu era formato da 2 pezzi del tipo descritto prima, quando si tesseva con 2 pidalura, da 4 quando si tesseva con 4: i pinni du lizzu. Ad ogni pinna erano legate due tavolette, alle due estremità, chiamate i tummarieddi, a loro volta legate ad altra tummariedda, che veniva legata ai vastuna del telaio. Ciò per tenere legato u lizzu al telaio, e per far abbassare i pinni du lizzu quando si abbassavano i pidalura.


lizzi e relative tummarieddi e in primo piano, a navetta
Museo di Blufi

Ad ogni 26 anelli veniva inserito un fiocchetto di pezza; ogni pinna du lizzu aveva quindi 24 di questi fiocchetti, che indicavano la larghezza del tessuto.
U lizzu aveva una funzione fondamentale per la tessitura: tirate alternativamente dalla pedaliera, i pinna du lizzu alzavano e abbassavano a turno le fila dell'ordito, per creare il varco da cui passava la spola con il filo di trama. 

Il pettine (u pettini)
Dopo i lizzi, i fili venivano fatti passare, rispettando rigorosamente il loro ordine, negli interstizi fra i denti du pettini.  Questo lungo arnese formato da due canne o bastoni, che stringevano tra loro dei denti, pur essi di canna tagliata a bastoncini, i quali variavano in numero, 600 o 800, a seconda della larghezza del tessuto da tessere. Si passava un filo fra due denti e quando tutti i fili erano stati passati, si legavano a ciuffetti, che venivano legati al subbio inferiore con uno spago.


Al centro a cascia du pettini
Museo di Petralia Soprana

Il pettine si infilava poi nella càssita (o cascia) battente, che serviva per sostenerlo nella sua azione di va e vieni sul telaio. 
A dividere ordinatamente i fili dell'ordito servivano anche due bacchette riunite alle estremità: le pinnalore.


In primo piano il sugghiu superiore e le pinnalore 

L’ultima operazione preliminare alla tessitura era la preparazione dei fili della trama, avvolta su canneddi di cartoncino che venivano disposti poi nella spola (a navetta). 

Tutte le operazioni descritte sono accuratamente illustrate in questo video di Enzo Orlando sull'orditura e sulla preparazione del telaio nelle Alte Madonie, realizzato sul telaio di famiglia, filmato dettagliato che costituisce una delle pochissime testimonianze rimaste in Sicilia di queste complesse attività ormai scomparse. 

Alla fine di questa lunghissima preparazione, tutto era pronto per passare alla tessitura.

Tessere  ('ntramari)
Tessiri richiedeva una serie di azioni coordinate che impegnavano tutti gli arti.
Con la navetta, in caso di tessuto privo di disegni, o con le mani, se il tessuto aveva disegni, si tesseva la trama, che poteva essere di lana o di stoffa, facendo contemporaneamente un gioco di piedi con a hiocca.


A hiocca
Museo di Petralia Soprana

La hiocca (chioccia), base della pedaliera, era una tavola di legno di faggio legata per un capo ai vanchi del telaio. All'altro capo, erano infilati 4 bastoni: i pidalura puddicini (pulcini), che erano tenuti insieme da una bacchetta di ferro. Erano questi i pedali legati al lizzu e calcati a turno (due alla volta) dai piedi dalla tessitrice, per far aprire le maglie d'u lizzu, sollevando e abbassando alternativamente le fila dell'ordito, creandovi in pratica un corridoio, a gorgia, attraverso il quale si lanciava la “navetta” con il filo di trama. Questo veniva subito battuto energicamente con i colpi ben dosati del battente della cascia du pettini, per compattarlo, e restava bloccato dall'alternanza dei fili d'ordito, riposizionati per permettere un nuovo passaggio della navetta.


Tappeto di Maria Agnello Orlando


La navetta
La navetta, che guidava i fili della trama ad incrociarsi con quelli dell'ordito, si usava solo in caso di tessuto privo di disegni, in caso contrario occorreva procedere direttamente con le mani. Conteneva una cannedda di carta di filo di trama, che era stata preparata, come quelle del filo di ordito, con u miriaturi, e che veniva inserita nella navetta e cambiata di volta in volta, al suo esaurimento.
La trama poteva inoltre essere di vari filati, ma anche di ritagli di stoffa, nel qual caso non poteva essere utilizzata la navetta.

Navette
Museo di Blufi


Fine della lavorazione
Man mano che il tessuto aumentava, si avvolgeva e stringeva no sugghiu inferiore mediante a cavigghia torta.
Raggiunta la misura desiderata, si lasciava uno spazio libero tra i fili della trama, così da consentire il taglio con le forbici e il riannodamento, e si passava alla tessitura di una nuova pezza.

Potete vedere qui un altro video di Enzo Orlando dedicato alle opere di sua madre, una delle ultime tessitrici di Petralia Soprana, Maria Agnello Orlando, che aveva a sua volta ereditato la sua arte dalla propria madre, a zza Maricchia.


La ricchezza cromatica dei tappeti petralesi
 in una foto di Rosario Ferrara

Biblioteca Frate Umile Pintorno

Tipologia dei tessuti 

Al telaio si lavorava tutto il necessario per la vita domestica e lavorativa della famiglia: 
I frazzati erano lenzuola con trama costituita da un filo di lana; la larghezza del tessuto (circa metri 2,40) obbligava a tessere tre strisce distinte che poi venivano cucite tra loro.
Per le lenzuola di lana si usava lana di pecora lavata, diradata e filata (col fuso e la conocchia), molto rustica, che rendeva le lenzuola pungenti a contatto col corpo rendendole adatta ai climi invernali, specie in quelle case ove l'unica fonte di riscaldamento era il braciere o la scarfetta.
La cutra cu i fasci era un copriletto di difficile realizzazione, che presentava un rilievo con motivi a nido d'ape, che conferivano al tessuto un certo spessore e ornamento.


Tappeto di Maria Agnello Orlando

Quanto alle stuoie,  già nel 1922, Albert Sautier nel suo "Tappeti rustici italiani" evidenzia l'interesse del manufatto tessuto dalle donne sui telai casalinghi, spesso con stracci e avanzi di lana, prodotto di povertà ma bello per la vivacità dei colori e di grande pregio etnografico.


Tappeti artigianali di Petralia Sottana - Foto Di Figlia 1940

In particolare i carpituna erano tappeti o coperte pesanti di diverse dimensioni con trama costituita da strisce di stoffe dismesse e ritagliate. Venivano impiegati anche come sotto materassi.
Nel carpituni la trama non era costituita solo dalle "pezze" (strisce di stoffa riciclata) ma anche da filati come lana, lino, canapa, cotone o di  lana (scugghiutini), che si ricavavano dal disfacimento di vecchi maglioni e indumenti di lana. Questi venivano poi avvolti in un grosso gomitolo.


Carpituni
Foto Damiano Cerami

vìertuli erano una specie di borsa "portatutto" del contadino: una striscia di tessuto ripiegata in modo da ricavare alle estremità due grandi tasche laterali, per trasportare cibi e vettovaglie varie, da sistemare sul basto dell'equino o sulle spalle.
Le due sacche erano identiche e potevano essere scambiate cioè  "rivoltate", da dove l'origine del nome (dal verbo latino vèrtere).
Erano realizzate con un ordito di cotone ritorto grosso e una trama di lana filata e variamente colorata; erano spesso personalizzate da ricami e disegni (iniziali del proprietario, fiori stilizzati, uccelli…) praticati nel corso della tessitura componendo in vario modo i fili della trama; il tessuto veniva infine rifinito dal bastaio (vardiddaru) che ne copriva i bordi con strisce di cuoio.


Viertuli di Petralia
 da Arte Popolare e Artigianato in Sicilia 
repertorio dell'artigianato siciliano, a cura di Vittorio Fagone, 1966.


Pannigno e tiligno

Come ci spiega Enzo Orlando, i tipi di tessuto di maggior uso erano il pannigno e il tiligno
Il primo si tesseva con quattro licci e quindi quattro pedali. Ne veniva fuori un tessuto doppio e variegato. Un esempio lo si può vedere nei vìertuli. 
L'altro tessuto, il tiligno (da tila = tela) era più lineare e sottile, con due licci e quindi due pedali. Si usava per i carpituni da mettere sotto i materassi o si usava per i vari tappeti, borse ecc. Questo ultimo tipo era il più comune.
Il tessuto dei vari filati si prestava per la tovaglia da tavolo, per asciugamani, tovaglioli, stracci cannavazza) per la cucina, lenzuola e cuscini, e coperte.


I canti di tessitura

Come per molte attività lunghe e ripetitive, il canto aiutava e propiziava il lavoro.
In un suo libro del 2017 Giuseppe Giordano ha registrato a Cipampini da Maria Sabatino, durante la tessitura sull'antico telaio conservato nella sua abitazione, una testimonianza unica di canti di lunga durata sia profani che devozionali in dialetto, che accompagnavano da sempre il suo lavoro. 
Da lei si è appreso che occorreva prestare sempre attenzione alla "tonalità del telaio", collegata al suo corretto funzionamento. 

Foto tratta da Ah! Nun cantu cchiù comu cantava! 
di Giuseppe Giordano 

L'anziana signora ha riferito anche di alcune pratiche rituali connesse alla tessitura a Cipampini. Oltre a propiziarne il buon esito attaccando immagini sacre al telaio, era vietato usarlo di venerdì santo, a causa dell'incrocio di varie parti lignee che non bisognava toccare in segno di rispetto per il Cristo Crocefisso, allo stesso modo in cui altre categorie di lavoratori non usavano quel giorno le forbici o l'aratro.
Inoltre, gettare in strada la cavigghia ritta, poteva fornire un'indicazione sul sesso di un nascituro, a seconda del sesso di chi fosse passato in strada per primo dove era caduto il legno.

Vi rimandiamo alla lettura degli altri post sul CICLO della LANA:



Cenni bibliografici

- G. Pitrè, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, Palermo, 1872.

Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, vol. XVII, ca. 1900.

- A. Sautier, Tappeti rustici italiani, Milano 1922.

- B. De Lisi, La donna e l'artigianato, nella rivista "Giglio di roccia", agosto-ottobre 1937

- Caterina Vertua, Tappeti di stoffa per la casa italiana, nella rivista "Giglio di roccia", gennaio-marzo 1940

- Ricerca sul ciclo della lana con interviste di tessitrici e censimento dei relativi strumenti, effettuata a Petralia Sottana da Maria Rita Murgia per la Regione Sicilia nel 1979 - Biblioteca comunale di Petralia Sottana 

- Fatima Giallombardo, Le tessitrici, in Le forme del lavoro. Mestieri tradizionali in Sicilia (a cura di Antonino Buttitta), Flaccovio, Palermo, 1988.


- Giuseppe Giordano, Ah! Nun cantu cchiù comu cantava! - ART Tor Vergata 2017 pp. 50-57

- Tessitura con telai storici (comuni-madoniti), Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana, in La Sicilia in rete.

- Giovanna Gebbia, Una delle ultime tessitrici della Sicilia, Giuseppina e il suo "magico marchingegno" su Balarm.it



Ringraziamenti a 
Mario Sabatino, ad Enzo Orlando e alla Biblioteca Frate Umile Pintorno


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Commenti

  1. È con immenso piacere e gratitudine per gli amministratori del blog che apprendo dell'attenzione rivolta ad una delle più tradizionali e antiche attività delle Petralie con grande perizia e dovizia di intormazioni e vasta documentazione.

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