Il MULINO PARATORE, una gualchiera a Petralia Sottana


Una contrada e un mulino
A nord-ovest di Petralia Sottana, a pochissima distanza dall'abitato, si estende una località dal nome evocativo: contrada Paratore.
Qui si trova l'omonima centrale idroelettrica ma da molto più tempo ancora, torreggia un vecchio mulino abbandonato, ormai invaso dall'edera.

U paraturi
Il toponimo "Paratore" si ritrova in diverse altre città siciliane.
Infatti U PARATURI era in siciliano la gualchiera, cioè la macchina tessile utilizzata per battere e pressare i tessuti di lana, in modo da infeltrirli, indurirli e renderli impermeabili.
Il nome deriva in modo diretto dal termine "Paratorium" del latino altomedievale, che stava a designare sia il macchinario, che i locali ove veniva installato. L'invenzione risale agli antichi romani e agli arabi, ma il suo uso intensivo in Italia e in Sicilia è attestato a partire dal XIII secolo.


Il mulino Paratore

La follatura della lana
Anticamente si tesseva la lana in casa. Per creare indumenti pesanti, oppure coperte, si scoprì l'utilità di infeltrire il tessuto per renderlo più fitto e impermeabile.
Sin dall'epoca romana nacque quindi l'uso di sottoporre certi tessuti a follatura: la stoffa, imbevuta di soluzioni alcaline, saponose o acide, un tempo trattata anche con argilla smectica, veniva sottoposta, in una pila, a pigiatura energica in acqua calda.
Questo trattamento, oltre a ripulire la lana dal grasso ovino residuo, restringeva di oltre la metà il panno, e quindi lo ispessiva, rendendolo facile da tagliare senza filacci e conferendogli resistenza, pesantezza e durata illimitata.
Esistono tuttora nei musei, indumenti in tessuto di questo tipo, che sono vecchi di vari secoli, e che passavano di padre in figlio.


Schiavi romani addetti
alla follatura con i piedi
Affresco a Pompei

In origine, il trattamento del panno era un lavoro faticosissimo, effettuato dai "follatori", con i piedi, pestando ritmicamente i panni nelle vasche, come si faceva nei palmenti con l'uva.
Sin quando, ai primi del XI secolo, non sopraggiunse un'importante innovazione tecnologica: una macchina detta "gualchiera", costituita da una coppia di grossi martelli in legno, mossi alternativamente da una ruota idraulica verticale. Si trattava di una nuova applicazione dell'energia idraulica prodotta dai mulini, con la differenza che la ruota, anziché orizzontale così come di regola nei mulini siciliani adibiti alla molitura del grano, doveva essere sistemata verticalmente rispetto all'acqua.


Incisione del 1661 
da Theatrum machinarum novum 
di Georg Andreas Böckler, 1661


L'albero della ruota infatti muoveva a sua volta delle camme, elementi sagomati in modo curvilineo, in grado di trasformare il moto rotatorio della ruota stessa nel moto alternato dei magli. Questi riproducevano in questo modo il ritmico pestaggio di due gambe.


Gualchiera


1 - ruota idraulica
2 - albero
3 - maglio
4 - acqua calda
5 - pila


L'impianto
In quasi tutti questi tipi di mulino, il macchinario in legno che effettuava la follatura dei panni è stato il primo a deteriorarsi ed a scomparire, per cui in tutta Italia è oggi rarissimo ritrovarne, e ancor di più vederne il funzionamento.
L'attività di follatura nei mulini è cessata definitivamente prima della seconda guerra mondiale.



Rara foto di una gualchiera siciliana

Il "Paraturi" di Petralia Sottana
Questa lunga premessa è stata necessaria per far capire il senso della nostra ricerca.
La toponomastica non lascia dubbi, a nostro avviso, sulla primitiva funzione del mulino Paratore.
D'altronde, la sua antichità è attestata dai documenti dell'Università di Petralia Sottana (l'antico comune) che ne fanno già menzione nel '600.




Tutte le altre località che portano in Sicilia il nome "Paratore" erano sede di una gualchiera, quindi il mulino così denominato deve necessariamente essere stato, in una qualche fase della sua attività, adibito alla follatura dei panni, salvo essere stato forse riconvertito in mulino per semplice molitura del grano.
Scrive inoltre nel 1870 Sebastiano Mottura che il "follone" di Petralia Sottana sera l'unico funzionante della zona.




Come si vede dalle foto, si tratta di una struttura ancora molto alta e possente e che desta meraviglia come i vecchi acquedotti romani. La solidità della costruzione si manifesta nella robusta "utti" ancora integra, la "botte" all'interno della quale l'acqua, incanalata nel condotto rimasto ancora sospeso nel vuoto fra un pilone e l'altro, cadeva con forza sulla ruota. L'edificio basso e lungo ai piedi della botte è quello in cui si trova la ruota, nella stanza di molitura, ed è il sito ove anticamente doveva trovarsi la gualchiera.






Nella foto satellitare qui sotto, si distinguono nettamente dall'alto il lungo condotto d'acqua, la "prisa" e il foro collettore della "botte".




Finché rimase in funzione, la gualchiera del mulino Paratore di Petralia Sottana fu l'unica disponibile per gli abitanti della zona delle Petralie, data la distanza degli altri paratura presenti nelle Madonie, siti a Polizzi, a Castelbuono o a Collesano.
I pastori provenivano certamente dall'intero territorio per portarvi i panni da trattare. In mancanza di gualchiera, l'unica procedura manuale restava infatti quella di sfregare il tessuto con delle pietre lungo il fiume.


Case Paratore a Castelbuono


Come operava un paraturi nelle Madonie?
Lo possiamo ricostruire dalle testimonianze di chi ha conosciuto l'ultimo paraturi in funzione,  quello delle "Case Paratore" di Castelbuono.
Il mulino non operava tutto l'anno ma solo d'inverno. Il trattamento richiedeva diversi lavoranti e durava un giorno e una notte di continuativo e rumoroso martellare dei magli, nel corso dei quali la stoffa immersa andava tirata fuori dalla pila e "scarmigliata" ogni 8 ore. La miscela contenuta nella pila stessa, versatavi mediante canalette in foglia di agave, era composta da acqua calda e feccia d'olio.
All'interno del mulino era quindi necessario un cufularu per scaldare l'acqua in continuazione. 

L' AVRASCIU
Antica stoffa di lana di produzione casalinga, l'orbace o "avrasciu" assicurava il massimo della protezione dai rigori del clima madonita. 



Contadino di travaglio del Val Demone
incisione dal vero di Cuciniello e Bianchi, Napoli, 1827 

La parola viene probabilmente dall'arabo "al bazz" che significa stoffa, tela.
Si trattava di un tipo di panno tessuto in casa e ottenuto, sulla base di un'armatura in solida tela, con i peli più lunghi ricavati dalla cardatura della lana. Dopo la tessitura, veniva lavorato con la follatura. Il risultato era un tessuto rigido, impermeabile e indistruttibile, che quasi stava in piedi da solo. Se ne realizzava la tipica mantella con cappuccio detta "cappularu", indispensabile riparo dal freddo e dal maltempo.


Cappulari in piazza Duomo a Petralia Sottana

Il termine deriva dal latino "scapulae", trattandosi di un indumento poggiato sulle spalle. 
L'orbace veniva sempre tinto in colori scuri, e si ottenevano due varianti di mantella, quella nera o marrone scuro, per uso quotidiano, e quella verde intenso, destinata ai giorni festivi.
Per il marrone serviva il gheriglio di noce, per il verde, il carciofo.
Come si può vedere nelle foto antiche, i "cappulari" conferivano agli uomini un'eleganza ieratica e inconfondibile. Purtroppo, sono ormai oggetti da museo, anche se qualche amante della tradizione continua a farne uso.


Ringraziamenti a Domenico Gulino, Lucia Macaluso e Giuseppe Biundo


Cenni bibliografici

Sebastiano Mottura, Sulle ferrovie proposte per la congiunzione delle linee Palermo-Girgenti e Catania-Licata: osservazioni, Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo 1870

         © Testo protetto da copyright. Ogni riproduzione anche parziale è vietata.

Commenti

Post più popolari