IL CICLO DELLA LANA 2 - LAVAGGIO, CARDATURA E FILATURA
Per effetto della tosatura, la lana non si stacca dal corpo della pecora fiocco a fiocco: il vello (la lanata) viene via tutto intero in un ammasso compatto e sporco, assolutamente inutilizzabile per la realizzazione di manufatti.
E' quindi necessaria una serie di operazioni, a partire dal vello. Queste lavorazioni, un tempo, erano tutte, sino alla realizzazione del tessuto finale, compito esclusivo delle donne.
In quasi ogni famiglia, queste provvedevano autonomamente al lavaggio, alla cardatura e alla filatura del quantitativo di lana ricavato dalle pecore del nucleo familiare.
La lana nera, destinata all'orbace, veniva sottoposta poi ad ulteriori procedure di impermeabilizzazione e infeltrimento, che avvenivano presso un mulino paratore.
La lana nera, destinata all'orbace, veniva sottoposta poi ad ulteriori procedure di impermeabilizzazione e infeltrimento, che avvenivano presso un mulino paratore.
Quello che oggi si chiama sgrassatura del fiocco, richiedeva l'azione di diverse donne, perché la lana zuppa d'acqua era molto pesante da maneggiare, inoltre occorrevano spazio e vasche capienti e ovviamente, per un'asciugatura rapida, si doveva operare nei mesi caldi.
Il lavaggio avveniva sempre all'esterno, negli abbeveratoi grandi oppure presso le fontane presenti nei singoli fondi o ancora direttamente al fiume, nei siti dove erano presenti pietre piatte. Spesso al bevaio una delle vasche di raccolta dell'acqua sorgente, solitamente la seconda, aveva un bordo inclinato (lavatoio - stricaturi). In questa vasca veniva immersa la lana sporca. Come detersivo si usavano le foglie di agave che, battute sul lavatoio fino allo sfibramento totale, rilasciavano un liquido schiumoso che fungeva da sapone e da sbiancante. A Nociazzi (Castellana Sicula) veniva ancora utilizzato, sino a pochi decenni fa, il lavatoio composto appunto da tre vasche per i successivi risciacqui, nel corso dei quali si provvedeva anche manualmente ad eliminare i residui grumi di sostanze estranee.
Il lavaggio avveniva sempre all'esterno, negli abbeveratoi grandi oppure presso le fontane presenti nei singoli fondi o ancora direttamente al fiume, nei siti dove erano presenti pietre piatte. Spesso al bevaio una delle vasche di raccolta dell'acqua sorgente, solitamente la seconda, aveva un bordo inclinato (lavatoio - stricaturi). In questa vasca veniva immersa la lana sporca. Come detersivo si usavano le foglie di agave che, battute sul lavatoio fino allo sfibramento totale, rilasciavano un liquido schiumoso che fungeva da sapone e da sbiancante. A Nociazzi (Castellana Sicula) veniva ancora utilizzato, sino a pochi decenni fa, il lavatoio composto appunto da tre vasche per i successivi risciacqui, nel corso dei quali si provvedeva anche manualmente ad eliminare i residui grumi di sostanze estranee.
Lavatoio di Nociazzi |
Questa operazione, a Petralia Soprana centro, veniva eseguita nel quartiere Sopra Convento. La lanata veniva lavata nell'abbeveratoio della Pinta e stesa ancora tutta intera, attaccandola ai muri delle case.
Nelle campagne, la lana lavata veniva stesa su cannizzi o appesa a canne, e poi raccolta in canestri.
LA CARDATURA
La cardatura, "a carminatura" è una sorta di pettinatura della lana, districa le fibre, le allinea, eliminandone i grovigli, e ne aumenta il volume e la sofficità.
Il nome dell'operazione evoca il cardo dei lanaioli (dipsacus follonum), i cui fiori secchi sin dall'epoca dei romani, assemblati in un supporto di legno, componevano una sorta di spazzolone utile per allineare le fibre della lana.
Il cardo dei lanaioli cresce spontaneo a Petralia |
Nelle Petralie tale pianta è diffusissima, e sin dal Rinascimento era evocata dallo stemma di entrambe le città.
Ciò, non tanto per la presenza della pianta, quanto perché le Petralie erano state entrambe soggette, a partire dal 1444, al dominio della famiglia Folch de Cardona, nel cui blasone compariva una pianta sradicata di cardo con tre fiori. Infatti il casato traeva il suo predicato (cioè la parte del nome riferita alla località ove esercitava il suo potere) dalla città catalana di Cardona, che aveva tale blasone. Nell'illustrazione qui sotto, si possono notare le similitudini fra lo stemma dei Cardona ancora presente al Municipio di Petralia Sottana, lo stemma di Petralia Soprana in una documento del '600, conservato alla Biblioteca Comunale, e infine lo stemma della città di Cardona.
Da sinistra: Petralia Sottana, Petralia Soprana, Cardona |
Tuttavia, curiosamente, nelle Petralie non risulta un utilizzo dei cardi per districare la lana. L'operazione (allargari o carminari a lana) era infatti prevalentemente manuale.
Vi è però il ricordo a Petralia Soprana di rudimentali tavole chiodate con una fettuccia di olona sulla faccia esterna, per inserirvi le mani ed adoperarle come spazzoloni (realizzate da Celestino Forlanic), con le quali si cercò di facilitare il duro lavoro delle donne.
La festa della lana ad Agroverdi Foto di Saro Lodico |
LA FILATURA
Una volta ottenute dalla lana le fibre grezze, occorreva trasformare l'ammasso indistinto in un filo di lunghezza illimitata da poter lavorare, e ciò si otteneva mediante la riunione e torcitura manuale delle fibre, con l'aiuto della rocca (a cunocchia) e del fuso (u fusu).
La filatura era un lavoro lungo (con una produzione giornaliera di appena qualche etto di filo), motivo per cui essa impegnava quasi tutte le donne, aiutate dai bambini.
L'azione di torcitura era impressa dalle mani, a partire dai fiocchi cardati contenuti nella cunocchia, ed era facilitata dalla rotazione e dal peso del fusu, un bastoncino di legno al quale era attaccato un capo del filato, e che si lasciava pendere e girare su se stesso, in modo che il filo vi si arrotolasse via via.
Fondamentali strumenti di un artigianato esclusivamente femminile, il fuso e la conocchia facevano parte della dote delle fanciulle da marito e talvolta erano un regalo del fidanzato. E tuttora, per tradizione, nel corteo nuziale associato al Ballo della Cordella di Petralia Sottana, la sposa tiene in mano tre oggetti augurali, il rosario, simbolo di fede, e fusu e cunocchia, evocativi della sua futura operosità casalinga.
La sposa del Corteo Nuziale Ballo della Cordella di Petralia Sottana Foto di Fabio Macaluso |
Il filato ottenuto andava infine ordinato in matasse, arrotolandolo su di un arnese chiamato anìmula, termine identico a quello latino originario, che significa "animella".
Per creare gomitoli, sopperivano le braccia di figli e nipotini.
Collezione Antonio Scelfo |
In tutto il mondo, e sin dalle più antiche civiltà, le donne lavoravano la lana allo stesso modo. Nella mitologia greca la filatura e le attività connesse avevano acquisito persino un significato sacrale, nella figura delle tre Parche, che gestivano il sottile filo dell'esistenza umana.
Non senza una certa emozione, ritroviamo in affreschi romani o in vasi greci, strumenti che hanno continuato a servire sotto la stessa forma per duemila anni, e sino a una cinquantina di anni fa anche nelle Madonie.
Giorgio Ghisi (Mantova 1520-1582) Le tre Parche |
Cenni bibliografici
Guido Macaluso, Petralia Soprana, Guida alla storia e all'arte, Palermo 1986
Antonino Buttitta, Le forme del lavoro. Mestieri tradizionali in Sicilia, Libreria Dante, 1989
Roberto Sottile, Lessico dei pastori delle Madonie, Università di Palermo, 2008
Lucia Macaluso, Petralia Sottana Città d'Arte, Il Petrino. 2010
Giuseppe La Placa, Un mondo che scompare, Edizioni Arianna, 2013
Ezio Martuscelli, L'uso tessile delle fibre di lana, un percorso storico, culturale, tecnico e artistico dalla preistoria al tardo Medioevo, 2006
Ringraziamenti (in ordine alfabetico)
a Domenico Gulino, Fabio Macaluso, Saro Lodico, Ernesto Messineo, Mario Sabatino, Antonio Scelfo e alla fattoria didattica-antico palmento Agroverdi di Petralia Soprana
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