IL CICLO DELLA LANA 1 - TOSATURA


La tosatura del bestiame ovino era in passato un appuntamento di grande importanza, momento di aggregazione e di scambio sia lavorativo che sociale. In presenza di greggi di centinaia di pecore era infatti necessario l'intervento di collaboratori esterni, che potevano venire anche da luoghi distanti.
Una rappresentazione vivida e particolareggiata di come si svolgeva nelle Madonie a fine '800, ci viene fornita da Cristoforo GRISANTI, nel suo libro Usi, credenze, proverbi e racconti di Isnello, pubblicato nel 1899. Ne riportiamo un estratto:

“U tunniri” (la tosatura) avveniva tipicamente a maggio per evitare a pecore e agnelli il troppo fresco o il troppo calore.
Il  giorno veniva stabilito, più che dal padrone, dal “curàtolo” della mandria con il “caporale dei tunnitura” e comunicato a tutti i “prezzamara” ossia ai pecorai.

Cartolina dei primi del '900
In primo piano il recinto: a mànnera

In vista del numero di persone che potevano arrivare, spettava al “curatolo” far preparare tutto, in ordine e ben pulito: la grande pagliaia del “màrcatu” e i pagliarotti, la “ribatteria” dove si lavoravano e serbavano il cacio, le ricotte,  le farine, il pane, il sale, i cagli, le pelli, le fiscelle, i tini, i tinozzi, il tavoliere e gli altri arnesi, così come le fornaci, il forno e la legna da ardere. Farina, pane, olio, cipolle, aglio e pepe e un paio di barili di vino servivano per rifocillare i tosatori.

U tavulìeri
Museo Civico di Petralia Soprana

I tosatori giungevano con un saccone a spalla, entro cui, col pane e companatico, portavano una pietra da affilare, e uno o due paia di forbici lunghe, larghe, aguzze e taglienti, non fermate al mezzo da un chiodo, ma congiunte con un pezzo di ferro largo e sottile che faceva da molla e insieme da manico.
Il numero dei tosatori della “chiurma” (diretta sempre dal più anziano) variava dai dieci ai dodici, ciascuno dei quali era in grado di tosare 125 pecore al giorno.
I tosatori erano sempre in giro per almeno un mese e prestavano la loro attività nei giorni stabiliti per un tanto in denaro e un tanto in cacio e ricotta.



La sera prima della tosatura, quando arrivavano al “màrcato”, primo a riceverli era il curàtolo, con scambi di “Viva Gesù!” e “Viva Maria!” o di “Salutamu signori mei”. Venivano sistemati nella pagliaia maggiore, fatti sedere sugli “iazzi” (giacitoi di ginestre e di saracchio) e appendevano i loro sacconi ai moncherini delle grosse pertiche che sostenevano la cappa del grande ritrovo, sormontato da una croce. Consumavano un parco pasto seguito dalla recita del Santo Rosario, guidata dal curatolo, e da apposite preghiere a S. Pasquale, perché proteggesse le pecore e le capre, a S. Silvestro perché le difendesse dai lupi, a S.Andrea d'Avellino. a S. Barbara e a S. Girolamo, per scansare la morte improvvisa, i lampi e i fulmini, e a tutti i Santi del Paradiso e alle Anime Decollate perché li liberassero da ladri e “mali pirsuni”. Il tutto concluso con le preghiere alle Anime Purganti ed il Requiem Aeternam, dopo di che tutti si coricavano vestiti come erano.


U Iazzu. Foto di Franco Barbagallo
tratta da
Il Parco delle Madonie, Arbor 1989

All’alba, i pecorai andavano a mungere. I “garzuna” erano indaffarati, chi per l’acqua, chi ad accendere la fornace, chi a trasportare il latte nelle tine. Lo "zammataro" confezionava cacio e ricotta, il "ribattiere" preparava il pane. In breve ciascuno riceveva un panotto stagionato d'uno o più giorni, una ciotola di latte o un pezzo di ricotta fumante, mentre i cani rodevano i loro pani di crusca, i “canigliotti” e bevevano il siero ancora caldo.

Dopo la mungitura, le pecore venivano chiuse nell’ovile, da cui potevano uscire solo in fila da una o più uscite, vicino alle quali stava seduto un pastore provetto che dal “merco” (il marchio, consistente in un taglio nelle orecchie), riconosceva subito a chi appartenesse l'animale.

Tosatura delle pecore
Olio su tela di Antonino Mancuso Fuoco. 1977

Di solito il primo merco che si chiamava era quello del padrone, poi quello del curatolo, e poi quelli degli altri.
Le pecore venivano quindi spinte innanzi ai “vadili” (le uscite), fatte passare ad una ad una e se non erano del merco chiamato, lasciate libere fuori da un lato.
Se no, venivano trattenute e consegnate ai loro padroni che stavano ad aspettare. Costoro, legatele per i piedi a panieruzzo le trascinavano l’una dopo l’altra innanzi ai tosatori. Nel piano che era stato prima spazzato, per non sporcare la lana, stavano i tosatori, divisi in tanti gruppi quanti erano i merchi chiamati.



Questa incisione del 1888,
anche se non ambientata in Sicilia,
dà un'idea del dispiegamento di forze talvolta necessario

Durante le operazioni, nel continuo belare degli animali, e il fischiare e cantare dei tosatori, i pecorai scioglievano le pecore tosate per portarle ai pascoli, raccoglievano la lana, la torcevano separatamente per dividerla in lanate e la trasportavano a bracciate o in bisacce ai loro pagliai.
Per ultimi venivano tosati gli agnelli.
In caso di mancanza di animali doveva prenderne nota il curatolo per renderne conto a ciascuno.
Si lavorava sino al vespro, assicurando che le pecore tosate andassero a pascolare, per riprendersi, e venissero poi munte.
La tosatura durava di solito uno o più giorni e vi prendevano parte, per vari motivi, anche estranei, parenti, padroni delle mandrie con il loro campieri, poveri e questuanti, religiosi e secolari dei paesi intorno, per cui il màrcato prendeva l’aspetto di una piccola borgata.
I pasti che concludevano le operazioni erano momenti di grande gioia, attorno a lasagne alla ricotta o ad un frittellone di fave verdi con la carne di pecora. Tutti mangiavano direttamente nelle madie aiutandosi con le mani, con cucchiai e con il pane, o dentro scodelloni di creta o di legno."


Con gli stessi strumenti
la tosatura in epoca medievale...
XV secolo - Les Très Riches Heures du Duc de Berry

I luoghi
Il màrcatu era l'insieme degli spazi e delle costruzioni adibiti alla pastorizia, e comprendeva a mànnera, u pagghiaru a zammatarija. 
A mànnera era l'ovile, il ricovero per le pecore con il recinto ottenuto con muretti a secco, che solitamente avevano andamento irregolare, seguendo il terreno e sfruttando le formazioni rocciose già esistenti. Da questo termine proviene probabilmente il nome della contrada Mannarini in territorio di Petralia Sottana.
U pagghiaru era l'abitazione del pastore, e contrariamente al resto della Sicilia, in area madonita  era longu, cioè a pianta rettangolare.
A zammatarija era il luogo di lavorazione e di deposito del formaggio.

Luna e tosatura 
La scelta del giorno per la tosatura non dipendeva solo dalle condizioni meteorologiche ma anche dalle fasi lunari. Si trattava di una consuetudine agraria antichissima e comune ad altre zone d'Italia.
Alla luna si attribuiva infatti il potere di influenzare tutti i processi biologici, per cui conveniva allineare le varie attività alle sue fasi: fare a luna crescente tutto ciò che doveva prosperare, come semina o piantagioni, e a luna calante tutto ciò che doveva morire o essere distrutto, come raccolta, potatura, castrazione di animali e appunto tosatura. 

Luna calante

Modalità
Si cominciava a tosare nelle ore più calde del giorno, quando era già evaporata l’umidità della notte dal vello degli animali e quando il grasso della cute, sciogliendosi, rendeva più scorrevole il movimento della forbice.
La pecora veniva tenuta con la testa fra le gambe del tosatore oppure se ne immobilizzavano le zampe con una corda di crine, la pastura lazzu.

Foto di Franco Barbagallo
tratta da 
Il Parco delle Madonie, Arbor 1989

Prima venivano tagliati ed eliminati gli zubbagghi cioè le parti di pelo sporche di sterco. Si iniziava quindi a tosare procedendo dal posteriore per finire al collo, dopo di che l’animale veniva girato dalla parte opposta e si ricominciava dall'altra parte. Con il qualificativo di francu si designava il tosatore provetto, in grado di tagliare la lana nel modo più radente possibile, senza procurare alcuna ferita alla pecora.


Cesoie in ferro per tosatura: nel Novecento e nel periodo romano

Strumenti
La forbice in ferro per tosatura (detta a fùrfica o fuòrficia) riproduce un modello che risale alla preistoria. La particolare struttura serve a ridurre la fatica del tagliare: quando la mano del tosatore allenta la pressione, per un effetto molla, le lame ritornano da sole in posizione di partenza.
Anticamente le due lame erano collegate da un arco di corno di montone, scaldato al fuoco per acquistare elasticità.
Si rammenta anche che esistessero cesoie in bronzo, simili ad arnesi analoghi ritrovati a Pompei.
Ogni tre o quattro animali, quando la forbice s’azzannava, era necessario ammolarla con una petra mola, bagnarla nell’acqua di un secchio tenuto vicino a sé, e asciugarla con un fiocco di lana.
La lana veniva poi raccolta, pressata, arrotolata e legata con liami o altri legacci.


La lanata

Segue nella II parte
 LAVAGGIO, CARDATURA E FILATURA


Cenni bibliografici
Cristoforo Grisanti, Usi, credenze, proverbi e racconti di Isnello, 1899
Mario Giacomarra, I pastori delle Madonie, 2006
Ezio Martuscelli, L'uso tessile delle fibre di lana, un percorso storico, culturale, tecnico e artistico dalla preistoria al tardo Medioevo2006
Roberto Sottile, Lessico dei Pastori delle Madonie, Università di Palermo, 2008


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