SALINELLA



Salinella trae il suo nome dalla presenza di un importante giacimento di sale, che si estende alla frazione di Raffo, formatosi nel Miocene superiore (5.000.000 di anni fa), e che fu sfruttato sin dall'epoca romana. Nel periodo arabo (IX secolo) la miniera acquisì sempre maggiore importanza economica, tanto che la strada che vi transitava venne chiamata "La Via del Sale".


La miniera di salgemma - Foto di Roberto Boccaccino
Per La Repubblica

La miniera, ove l'estrazione è continuata nei secoli, con lo scavo di diverse gallerie per un totale di 80 km e di 12 livelli, per una profondità di 400 metri nelle profondità della terra, è un gigantesco deposito di salgemma, cioè di sale marino di peculiare purezza, originatosi nel Mesozoico, quando, in seguito alla chiusura dello stretto di Gibilterra, il Mediterraneo, non ricevendo più alimentazione, si chiuse e si prosciugò per effetto dell’evaporazione. Durante tale fenomeno, il sale andò a depositarsi nelle depressioni più profonde, le quali, per i movimenti successivi della crosta terrestre, si ritrovarono talvolta molto più in alto dell'originario livello, come nel caso di Salinella, che si trova a circa 900 m di altitudine.

Salinella nelle mappe della prima metà dell'800

Nel 1399 Martino, re di Sicilia e Aragona, concesse le terre che comprendevano la miniera ad Antonio Ventimiglia Conte di Collesano. In un bosco della zona, è stato ritrovato un piliero con il segno distintivo di questa antica famiglia.
Nel Quattrocento la miniera e il territorio circostante divennero un autonomo feudo, associato al titolo di Barone della Salinella.
In ultimo, il titolo appartenne alla famiglia La Motta di Nicosia, fra i cui esponenti si distinse alla fine degli anni '40 Stefano La Motta, mecenate sportivo e pilota di auto da corsa, che trovò la morte nel 1951, proprio in una gara automobilistica.


Il Barone di Salinella Stefano La Motta
alla guida di una Cisitalia 202 SMM
all'8°Giro d'Italia - Targa Florio

A Salinella si distinguono vari quartieri dai nomi curiosi che evocano antiche famiglie e  particolarità dei luoghi: Messineo, Richizieddi, Puputinti (dal nome di una famiglia ivi esistente), Cannuoli, Vizzini, Barbagianni, Scarpetta, Taralla, Ladestra e Strittu di Gangiutti.


Foto di Claudia Messineo. 2009 tratta da Flickr

Nel territorio di Salinella, le pietre hanno una storia da raccontare; in ogni dove, nella campagna, sopravvivono reperti della civiltà contadina di una volta, alcuni dei quali risalgono a tempi immemorabili.

E' il caso del mulinu ru salinaru detto anche mulino Paradiso, dal nome di un suo proprietario, sito al confine fra Raffo e Salinella e attualmente invaso dalle sterpaglie.



Mulinu ru salinaru

Come si vede nelle foto, scattate una decina d'anni fa da Pietro Cassaniti, si tratta di un mulino del tipo usato nella Grecia antica, con ruota orizzontale, messa in modo dall'acqua incanalata in una sorta di serbatoio, la "botte" (foto 3) e fatta cadere dall'alto sulla ruota, in  modo da metterne in moto le pale. Il locale sotterraneo ove si trovava la ruota presenta una volta (foto 2 e 4). La ruota era collegata direttamente con le due macine sovrapposte situate nella stanza di molitura al piano superiore, come illustrato qui sotto.

Funzionamento del mulino ad acqua di tipo greco

Sino ad 80 anni fa, quando la vasca era piena, il mugnaio suonava la tromba ed avvisava i valligiani. Esisteva poi un altro mulino, sistemato alla confluenza del torrente Fiumicello con quello chiamato Serradamo, che non aveva vasche, ma un laghetto naturale chiamato localmente gibbiuni. Quando era colmo, il mugnaio avvisava gli abitanti della zona con il suono non di una tromba, ma di un corno. Non esistevano ancora i cellulari...




La zona è ricca di sorgenti. In vari punti ci si imbatte, in uno scenario da fiaba, in antichi pozzi immersi nella vegetazione. Nella foto sopra, eccone uno con il suo tetto a volta. A poca distanza, ne troviamo un altro in contrada "Chiusa Cavalla". La sua imponente mole richiama un animale giurassico acquattato nell'erba. Si tratta della copertura a volta del vecchio pozzo, che è munito di due scivi



Pozzo con scivi di Chiusa Cavalla

E' curioso pensare che il termine scifo, adoperato in siciliano per designare un ampio catino, oppure una vasca adibita ad abbeveratoio o lavatoio come quelle qui raffigurate, deriva dal greco antico σκύϕος (schìfos), che designava invece un'elegante coppa appiattita munita di manici, in cui sorseggiare vini deliziosi.



Antico palmento. Nella foto 3 il canale di scolo

A Salinella si trova un tipo di uva dai chicchi piccoli e molto dolci, che produce un buon vino e che si narra essere di origine antichissima. E a proposito di vino, in contrada "Piano delle Tignole" scopriamo un antichissimo palmento, ricavato da un unico monolite. I palmenti, in antichità, non venivano costruiti in muratura, ma scavati in una roccia affiorante abbastanza tenera da poter essere lavorata. Proprio per questo motivo, quelli che si ritrovano sono spesso in cattive condizioni, con i margini consunti e frastagliati, come quello delle foto qui sopra. I palmenti erano muniti di una vasca o più spesso di due, fra loro collegate da un canale. In questo caso si tratta di vasca unica, con un canale di scolo verso l'esterno, munito di versatoio.
Nel palmento, dopo aver chiuso il foro di scolo con un tappo, l'uva veniva pigiata con i piedi. Si lasciava il composto fermentare e poi si apriva il tappo, lasciando il mosto scolare nei contenitori ivi predisposti.
Nei casi di palmenti a due vasche, quella superiore si chiamava pistaturi, mentre quella inferiore, ove si veniva a raccogliere il mosto, era lo zubbio.



Abbeveratoio nella zona che era consacrata alla trebbiatura 

Ogni angolo di Salinella evoca una vita semplice e serena, fatta di lavoro a contatto costante con la natura. Nella zona dell'aria, in cui si svolgeva la pisatina, cioè la trebbiatura, si trova un abbeveratoio dalle linee essenziali. Un altro si trova a Richizieddi.


Chiesetta di Salinella

Una religiosità ancora viva traspare, ad ogni angolo, da un'edicola votiva, dalla chiesetta campestre, o ancora, sulla trazzera in discesa, da un roccione sormontato da una croce, che evoca alla mente i lontani menhir celtici, e che estende la sua protezione ad ogni passante.


Sullo sfondo il centro storico di Petralia Soprana

Qui sono rimasti in pochi e si può vivere al ritmo di cento anni fa: ci si incontra lungo le trazzere e in mezzo alla natura incontaminata, ci si saluta, si scambiano quattro chiacchiere. La pace è incredibile. Non per nulla, sino a qualche decennio fa, i caseggiati in contrada Fiscelli erano destinati a luogo di villeggiatura per ecclesiastici.


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Ringraziamenti
(in ordine alfabetico)
a Pietro Cassaniti, Domenico Gulino e Mario Sabatino.






Riferimenti bibliografici
- Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci, 2010
Capibrevi di Giovan Luca Barberi, Palermo 1886
- Francesco San Martino de Spucches, Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni 
- Francesco Ferruzza Sabatino, Cenni Storici su Petralia Soprana, Pezzino Palermo 1938
- Rosario Ferrara, Chiesa e società fra XI e XIX secolo a Petralia Soprana, 1999
- Giuseppe La Placa, Un Mondo che scompare volume I . Comune di Petralia Soprana
- Giuseppe La Placa, Un Mondo che scompare volume II. Editrice Arianna 2013
- Giuseppe La Placa, Sul fremito del passato. MACSS 2016

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Fiscelli

Commenti

  1. Grazie per l'interesse mostrato. È davvero da visitare come tutte le borgate di Petralia Soprana, una più bella dell'altra!

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