LA SALINA DI PETRALIA NELL'800
Nel Bollettino dei Carabinieri Reali del 1892, abbiamo trovato questo articolo riguardante una sciagura sul lavoro, accaduta all'epoca nella miniera di salgemma di Salinella:
“In una miniera di sale situata in quel di Petralia Soprana (Cefalù), verso le 10 del 14 ottobre 1892, sprigionavasi improvvisamente una gran quantità di gas acido carbonico, producendo una forte detonazione e causando la morte di alcune persone, che trovavansi dentro a lavorare.
Esplosione in una miniera. Incisione dell'800 |
Accorsi prontamente cinque carabinieri della locale stazione, s'introdussero nella cava, ignorando ancora quanto poteva esserci avvenuto. Fatti però circa 400 metri, scorsero alcuni cadaveri, e mentre i predetti militari ed alcune guide, ivi giunte, si accingevano ad estrarli, sentendosi venir meno le forze, tentarono di retrocedere per uscire all'aria aperta. Allora ognuno cercò di porsi in salvo, ma in quell'istante supremo, spegnevasi la lanterna portata da certo La Penna Pasquale, che cadde al suolo asfissiato.
In tal momento cadevano pure a terra privi di sensi due carabinieri, mentre gli altri 3 compagni e le 3 guide, che trovavansi più vicine alla porta d'ingresso, poterono a stento guadagnare l'uscita e porsi in salvo.
Antico accesso alla miniera |
Giunti sul limitare dello sbocco, fu inteso un colpo d'arma da fuoco, esploso dall'interno della salina, al che i carabinieri, sprezzando l'evidente pericolo, s'introdussero nuovamente nella cava, per dare soccorso ai loro compagni: e difatti un carabiniere, rintracciato il collega che dava ancor segni di vita, tentò con l'aiuto degli altri due di trasportarlo in salvo, ma non vi riuscì, perché mancate novellamente a tutti le forze, dovettero abbandonare l'impresa, e con grave fatica poterono essi pure porsi in salvo.
Poco dopo, giungevano in luogo il brigadiere, comandante la stazione, il pretore, nonché il comandante del distaccamento di truppa con altri carabinieri ed alcuni bersaglieri, i quali tentarono di penetrare nella miniera per estrarre almeno i cadaveri, ma ogni loro sforzo riuscì vano.
Il mattino del 15 portavasi pure in luogo il comandante la tenenza di Petralia Sottana, unitamente ad un ingegnere, ma ogni tentativo per estrarre quegli infelici, non diede alcun esito favorevole.
Il 16 giunsero altri ingegneri, con appositi apparecchi di sicurezza, e penetrati con molta precauzione nella salina riuscirono, unitamente al pretore e al comandante la tenenza, ad estrarre i cadaveri dei due carabinieri e di una donna che trovavansi nella prima camera, senza poter estrarre gli altri, dappoi ché incominciati a sentire gli effetti dell'avvelenamento, dopo pochi secondi caddero a terra ed a stento furono messi in salvo.”
In seguito all'accaduto, la miniera restò chiusa per qualche mese. Venne prescritta al gestore Intrabartolo l'apertura di una nuova discenderia con aumento dell'aerazione. La nuova buca venne attuata sul versante opposto alla prima ed è quella da cui si può accedere oggi al MACSS. Purtroppo, quattro anni dopo, nel 1896, ancora una volta, lo scoppio dovuto ad una fuga di gas analogo costò la vita ad un minatore, provocando gravi ustioni ad altri due.
Lampada di Davy |
Nell'800 non erano ancora in uso le lampade da miniera a carburo o acetilene. Si usavano quindi lanterne ad olio, e alla fine del secolo, anche a petrolio e a benzina, lampade in cui solo dopo l'invenzione di Humphry Davy, la fiamma venne protetta da apposite reticelle che impedivano gli effetti nefasti dovuti al contatto con il gas. Non è dato sapere però quale tipo di lampade fossero in uso a Salinella.
La struttura originaria della miniera
Per secoli, la salina di Petralia venne coltivata a cielo aperto, cioè attaccata dagli affioramenti, senza effettuare scavi. Tuttora nei pressi della miniera si vede il sale affiorare in superficie.
Non è noto esattamente a quale epoca, si sia iniziato a penetrare nel gigantesco giacimento, che si estende in profondità sino a 400 metri sotto terra.
Nulla precisa, sulla struttura della miniera, Domenico Scinà, nel 1818.
Nel 1881 invece, Jarvis descrive "la Salinella", come un importantissimo giacimento che produce del sale di prima qualità. La sua coltivazione, fatta solo per consumo locale, operasi per mezzo di pozzi inclinati e non a cielo aperto, come avviene così sovente in altri luoghi della Sicilia.
Le miniere di salgemma siciliane avevano tutte una struttura rudimentaria: una buca o scala inclinata, come quella delle zolfare, attraversava i pochi metri di terreno sovrapposto al giacimento, ed entrava nel sale, nel quale si lavorava senza alcuna norma, producendo dei vuoti informi nell'interno della massa. Questi vuoti aumentavano gradualmente in altezza, man mano che si scavava nel pavimento, lasciando intatti il tetto e dei grossi pilastri di sale di sostegno. Quando il camerone diveniva troppo ampio, non si continuava a scavare, preferendo aprire un nuova cavità in altro punto. Così facendo, si evitava di creare canali sotterranei troppo lunghi. D'altronde in un giacimento dell'estensione di circa 2 chilometri quadrati, non mancava spazio.
Il nuovo accesso e la parte della miniera "artigianale" avviata dopo l'incidente, con i tunnel ancora scavati a mano |
Di fatto la ventilazione era esclusivamente naturale e proveniva dalle sole buche di accesso. Queste a Petralia, erano due, a diverso livello. In una relazione del 1905 si legge che la buca superiore, più antica, e il relativo piano di attacco, erano stati abbandonati da tempo. Al momento dell'incidente vi era comunque un unico accesso sia per l'aria che per le persone. La scala di discesa era lunga 25 metri e sfociava immediatamente in un ampio "androne" dove avvenivano le lavorazioni del sale. Da questa si dipartiva una galleria che portava al cantiere di lavoro sede dell'incidente.
La coltivazione della miniera nell'800
Nel 1867 l'Ing. Parodi del Real Corpo delle Miniere, riferisce al Re d'Italia che in Sicilia nessuna cava di salgemma viene lavorata regolarmente, e che solo raramente vi si trovano cavatori impiegati. Nessuno dei giacimenti di salgemma viene realmente sfruttato in proporzione della sua ricchezza, ma solo per il consumo locale. Gli abitanti dei paesi circonvicini vanno a provvedersi alle saline essi stessi a misura dei loro bisogni, pagando o no un tenue diritto ai proprietari.
Poco dopo, la commercializzazione si intensificò, tant'è che nel 1869, in un catalogo di prodotti agricoli siciliani elaborato dal rappresentante della Camera di Commercio di Palermo, si vanta la qualità e la purezza del salgemma della Salinella di Petralia, anche se si osserva che le difficoltà e i costi del trasporto del sale dalla miniera ai luoghi di imbarco, rendono proibitivo il suo commercio.
Alla fine dell'800 lo sfruttamento si fece più sistematico, giungendo addirittura al raddoppio della produzione ogni anno, dal 1865 al 1871 (come riferito da Giovanni Omboni).
Nel 1892 vennero estratte a Salinella 300 tonnellate di salgemma, a lire 7,23 al chilo. Dal 1892 al 1893 il prezzo passò a L. 10 in un solo anno e nel 1905 giunse ad oscillare da L. 10 a L. 15, come quello praticato ad Alimena e a Leonforte. Rammentiamo che 10 lire di allora equivalevano a circa 43 euro odierni. Con l'estrazione industriale, oggi il sale di Petralia vale pochi euro al chilo.
Nell'800 la miniera di sale apparteneva al proprietario del feudo Salinella, in cui insisteva, e cioè alla famiglia La Motta di Nicosia, baroni di Salinella, che concedeva in gestione sia le terre che la salina ad affittuari. Nella lavorazione della miniera si succedettero così le famiglie Intrabartolo e Cerami, e ciò sino all'inizio del XX secolo.
Come si svolgeva il lavoro nella miniera di salgemma di Petralia Soprana
Il processo era sostanzialmente manuale, e quindi faticosissimo, anche se, come abbiamo visto, si faceva già uso di esplosivo. Il sale veniva scavato con picconi, raccolto con badili, frantumato con martelli nel camerone di cui abbiamo parlato prima, all'interno del bacino, e trasportato a spalla e con muli percorrendo più di 250 metri.
Solo intorno agli anni 1930-35 , arrivò un motore per la "macinatura del sale". Al MACSS, il Museo di Arte Contemporanea Sotto Sale, si può oggi vedere un vecchio frantumatore azionato con una manovella.
La fatica fisica dei minatori siciliani non era compensata da una dieta adeguata. Lo sottolinea Sciascia quando scrive:
L’alimentazione di questi uomini è quasi esclusivamente costituita da idrati di carbonio; pane e cipolla cruda o pane e sarda salata nei due pasti che consumano sul posto di lavoro; la sera, a casa, una minestra a base di pasta di scarto e verdure; la pastasciutta solo la domenica.
Alimentazione che comunque non si discostava molto da quella estremamente frugale di tutta la popolazione contadina delle Madonie, per la quale la carne era comunque un lusso riservato alle grandi occasioni.
Come scrive Giuseppe La Placa, sino all'avvento dello sfruttamento industriale della miniera, la stessa era gestita da aziende familiari in cui i minatori non lavoravano ininterrottamente, perché conducevano quasi tutti parallelamente attività agricole, per cui si dovevano a turno assentare per la semina, il raccolto e la trebbiatura.
Come abbiamo visto, fra le vittime dell'incidente del 14 ottobre 1892 c'era anche una ragazza, Giuseppa Li Puma. Il 18 giugno 1895, la commissione parlamentare incaricata di studiare la legge che avrebbe poi vietato il lavoro sotterraneo alle donne e ai fanciulli, esaminando i dati raccolti a livello italiano, accertò che nella miniera di Petralia, non venivano impiegati bambini, ma alcune donne, le quali non scendevano sottosuolo, ma si limitavano, all'interno, alla cernita del materiale al martello e al trasporto all'esterno del sale, così spezzato e cernito.
Il salgemma a blocchi veniva poi trasportato in carretto e partiva per i luoghi di smercio.
Quelli erano i primi tempi in cui la politica si affacciava sul grave problema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Al riguardo, uno dei protagonisti dell'elaborazione dell’importante Legge di tutela dell’igiene e della sanità pubblica approvata sotto il governo Crispi nel 1888, fu un deputato e senatore madonita di Bompietro, l'onorevole Ignazio Filì Astolfone (1836 –1924), ex magistrato, eletto alla Camera dei Deputati nel collegio di Aragona, poi di Agrigento e Licata per ben dieci legislature consecutive e nominato nel 1909 Senatore del Regno.
Per l'avvento dello sfruttamento industriale della miniera di Salinella, si dovette aspettare la metà del XX secolo, ma questa è un'altra storia...
Cenni bibliografici
Statistica del Regno d'Italia. Industria mineraria. 1868
Giovanni Omboni, Compendio di mineralogia e geologia, Milano 1871, p. 235
William Paget Jervis, I Tesori sotterranei dell'Italia, 1881, pag. 254
IRCAC (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione), L'economia siciliana a fine '800, Bologna, Analisi, 1988. pag. 334
Rivista del Servizio Minerario 1887-1893
Travaglia R., L'infortunio del 14 ottobre 1892 nella miniera di salgemma detta Salinella, nel Comune di Petralia Soprana (Provincia di Palermo), in Relazione sul Servizio Minerario 1892, Corpo Reale delle Miniere, Roma pp. 54-56
Bollettino dei Carabinieri Reali 1892
Rapporto dell'Ing. Cappa, Archivio Comunale di Petralia Soprana 1893-97 Hd2, Tit. 12, Cat. 1
Atti parlamentari 18.6.1895
S. F. Romano, Storia della Sicilia post-Unificazione: la Sicilia nell'ultimo ventennio del secolo XIX, 1956 pag. 42
Atti del Collegio degli ingegneri ed architetti in Palermo, Tipografia del Giornale di Sicilia, 1905
Rivista del Servizio Minerario, 1910
IRCAC (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione), L'economia siciliana a fine '800, Bologna, Analisi, 1988. pag. 334
Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Adelphi, Milano, 1991, p. 150.
Gaetano La Placa, articolo sulla miniera di Petralia nella rivista "L'Obiettivo" del 25.10.1993
Giuseppe La Placa, Argomentazioni storiche sulla Miniera Petralia, Atti del Seminario tenutosi a Raffo il 23.8.1996
Giuseppe La Placa, Un mondo che scompare II, Arianna 2013
Giuseppe La Placa, Sul fremito del passato, MACSS, 2016
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