UN ANNO NEL FEUDO
Oggi 16 novembre 2025, il maestro Vanni Cancilleri compie 101 anni.
Vogliamo festeggiarlo con la pubblicazione di questo suo racconto autobiografico, che ci riporta agli anni 1944-45 e che narra di una sua breve esperienza da amministratore di un latifondo.
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| Vanni Cancilleri ventenne |
UN ANNO NEL FEUDO
di Vanni Cancilleri
Nei primissimi giorni di giugno 1944, mio padre, tornando dal Circolo dove era stato come al solito con gli amici, mi riferì di avervi incontrato anche il marchese Ettore Pottino, il deputato (1), già in villeggiatura nel suo palazzo di Soprana:
- L'on. Pottino mi ha detto che con il prossimo 31 Agosto il suo soprastante Giambelluca va in pensione per limiti dì età e mi ha chiesto se tu saresti disposto a prenderne il posto.
Il soprastante era l'amministratore dei feudi dei vari nobili.
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| Il Circolo di Cultura Al piano terra del Palazzo Municipale |
Non avevo ancora compiuto venti anni ma il marchese Pottino mi conosceva, forse per via di una mia precedente esperienza all'UCSEA (2), e aveva apprezzato il mio modo di gestire un ufficio in un periodo così delicato.
Risposta scontata! Fui subito disposto ad accettare l'incarico. Da sottolineare che l'unica coltivazione agricola che conoscessi erano tre vasi dì mia madre: basilico, menta e prezzemolo. Mentre il marchese Pottino possedeva ben quattro feudi per migliaia di ettari!
Di pomeriggio, al solito circolo, Papà incontra l'onorevole e gli comunica la mia disposizione ad accettare l'incarico. Affare fatto. Solo che il marchese aggiunge:
- Anche se Giambelluca lascia il 31 agosto, tuo figlio dovrebbe raggiungere Monaco il più presto possibile, in modo da seguire Giambelluca nell'esigenza ed imparare molte cose da lui.
L'esigenza era il momento della raccolta di tutti i prodotti agricoli e Monaco era uno dei feudi del Marchese, dove era situata l'amministrazione centrale.
Passano un paio di giorni e bussa a casa nostra un signore sconosciuto, che dice a mia madre:
- Sono un impiegato del marchese Pottino, domani mattina presto verrò a prendere suo figlio per andare a Monaco.
E infatti l'indomani si presenta alle 3 del mattino. La mamma mi aveva preparato una valigetta con qualche indumento di prima necessità. Scendo e ci incamminiamo verso la stalla del marchese, dove troviamo già sellate due cavalcature.
Inizia l'avventura.
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| Monaco di mezzo Ai primi del XX secolo Archivio Ettore Pottino di Capuano |
Dopo cinque ore di cavalcare, arriviamo alla fattoria di Monaco. Fabbricato immenso. Entriamo nel cortile e subito arriva u picciuttu di casa (inserviente tutto fare della fattoria).
Mi saluta rispettosamente, si prende il mio misero bagaglio e mi accompagna nel locale del soprastante, che fa sia da stanza da letto che da ufficio di amministrazione. Un affettuoso saluto con lui, che subito ordina a Nicolino (questo il nome del picciotto) di accompagnarmi nella mia stanza.
Il ragazzo fa strada e saliamo al secondo piano, apre una porta e mi fa accomodare. Una stanza abbastanza grande, con un letto (una brandina con sopra un materasso di paglia) e un tavolinetto che fa anche da comodino. Ai piedi del letto una cassapanca. Dall'altro lato della stanza un tavolo, con sopra un lume a petrolio e i fiammiferi, e più in là, vicino alla parete, un trespolo di ferro con sopra un catino, e accanto, a terra, una brocca piena d'acqua. Una desolazione!
Mi invita a salire altri quattro gradini e mi presenta il gabinetto: un bugigattolo con in fondo un buco coperto da un coperchio in legno, che dava direttamente all'aria aperta dietro le case. Dì positivo c'era che non serviva buttare acqua e che non si intasava!
Arriva l'orario della colazione, latte e pane. Ci si riunisce in un locale spazioso con un lungo tavolo grezzo e le sedie attorno. Nicolino, già lo conosciamo, serve in tavola. Qui ci ritroviamo con u suprastanti Giambelluca, oltre che con u campieri, una specie di sorvegliante a cui il marchese forniva gratis cavalcatura e fucile.
E inoltre mi presentano u guarda cozzu, altro guardiano, che sorvegliava il feudo dalle varie alture, anche lui munito di cavalcatura gratuita, così come di fucile e binocolo.
Infine c'era u vigneri, persona addetta alla sorveglianza delle vigne, cui il marchese procurava solo la giumenta.
Così avevo già conosciuto cinque elementi della masseria.
Tanto per capire l'organizzazione dell'azienda: disporre della cavalcatura, oltre a risparmiarti di camminare a piedi, significava acquisire il benefrutto della giumenta (il puledro) e quindi ottenere un piccolo guadagno in più rispetto al misero salario. Praticamente andava ad arricchire u partutu, che a tempo debito illustrerò.
Il resto della mattinata lo passiamo con il soprastante a girare a cavallo per il feudo.
Mi conduce a vedere gli ovili, che ospitano 1500 pecore e non so quanti agnellini. Qui conosco u curatulu e u zammataru, i due addetti alla manipolazione del latte per ricavarne il formaggio, e tre giovani pastori di cui non ricordo i nomi. E così avevo conosciuto sino a dieci delle figure che facevano parte dell'amministrazione.
A pranzo siamo in cinque o sei, gli impiegati che ho già conosciuto in mattinata.
Di pomeriggio mi faccio sellare una cavalla da Nicolino e me ne vado in giro per il feudo senza precisa meta, almeno occupo il tempo e mi diverto a cavalcare. La sera a cena siamo tutti presenti e così conosco u vurdunaru, l'uomo che ha in custodia a riètina (9 o 11 mule da trasporto soma) e la guida nei vari trasporti giornalieri. La prima mula è chiamata capurietina, serve da cavalcatura al vurdunaru, mentre le altre, legate dietro, trasportano le derrate.
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| A riètina |
E per ultimo conosco u vistiamaru, il custode di tutti gli equini da stalla e degli animali da cortile, il quale, all'occorrenza, guidava anche u carruozzu e a straula, specie di grande carro a ruote e a scivolo (simile a una slitta). A straula era adatta ai terreni molto scoscesi, perché non si ribaltava. Entrambi i mezzi erano trainati da un paio di buoi.
Erano queste 12 persone a comporre l'amministrazione feudale del marchese Pottino.
| Stràula Archivio Ettore Pottino di Capuano |
Gli impiegati ai quali non venivano fornite le cavalcature di servizio erano comunque autorizzati, se lo volevano, a tenere una giumenta di loro proprietà, ma a carico del marchese per quanto riguardava l'alimentazione (fieno, fave, orzo ecc.). Ovviamente tutti la tenevano per l'utile che dava con la nascita dei puledrini. Una specie di supplemento o contentino per il misero partutu.
Qualcuno potrebbe chiedersi, pensando ai salari attuali: come poteva un'azienda agricola sopportare il peso economico di 12 impiegati?
A questo punto è necessario spiegare che cosa era u partutu: praticamente era il salario che il padrone passava ai suoi dipendenti, rigorosamente in natura. Se non ricordo male, ai lavoratori spettavano al giorno:
kg 2 di pane, kg. 0,500 di pasta, kg. 1 di formaggio o ricotta, l. 0.250 di olio e un cartoccio di vino (circa litri 0,750). Ovviamente quello che non mangiavano, lo potevano portare a fine anno a casa.
Inoltre, sempre a fine anno, spettavano loro una salma di orzo (kg 180) e una di grano (kg 280). In denaro percepivano solo L. 5.000 annuali, elargite il 31 agosto.
Mi auguro di avere così descritto, alla meno peggio, l’organizzazione amministrativa di un "feudo" del tempo. Organizzazione che durò fino al 1946, anno in cui, anche dalle nostre parti, iniziò la rivoluzione meccanica nell'agricoltura, che cambiò radicalmente, non senza qualche trauma, il modo di essere dei delle grandi proprietà latifondistiche e delle aziende agricole.
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| L'arrivo della meccanizzazione Archivio Ettore Pottino di Capuano |
Ritorniamo a Monaco ed alle mie esperienze agro-amministrative.
Il 10 giugno iniziarono i lavori per la trebbiatura delle leguminose, specie fave, a calpestio (a trebbiare erano i muli), seguita poi da quella, sempre a calpestio, dei cereali, soprattutto grano e orzo.
Il feudo brulicava di carruozzi e strauli che trasportavano ì covoni dalle tenute ai posti adatti per la trebbiatura, che erano i punti più ventilati del feudo, perché la cernita avveniva esclusivamente con l'aiuto del vento. E certe volte si stava giornate intere ad attendere il desiato vento!
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| Fotogramma da Parabola d'oro di Vittorio De Seta 1955 |
Questo duro, importante e paziente lavoro si protrasse per tutto giugno e luglio.
Sinché giunse la mia prima esperienza dell’esigenza, cioè della divisione e dell'immagazzinamento delle derrate.
Una specie di cerimoniale. Quando cereali e leguminose venivano nettate (cioè separate da paglia e pula) gli interessati venivano a chiamare il soprastante che giungeva in compagnia del misuratore. Era questa un'altra figura dell'amministrazione che assolveva al compito di misurare le derrate per dividerle con i mezzadri e che veniva adibito stagionalmente ad hoc per il solo periodo della trebbiatura. Completava le operazioni il vurdunaru, che provvedeva al trasporto dei prodotti.
In questa occasione ho appreso un altro compito che spettava al soprastante: a 'zzingata dell'aria (cioè del cumulo di frumento).
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| Evocazione della 'zzingata (elaborata con AI) |
Questo termine stava a significare la firma che il soprastante apponeva sul mucchio del frumento con la punta di un semplice bastone, onde evitare possibili sottrazioni notturne. Anche perché con il lentissimo trasporto delle mule, molti cumuli stavano per giorni ad attendere la divisione, con grande patema dei mezzadri, che temevano improvvisi temporali, che si verificavano spesso.
La firma consisteva in un disegno che il soprastante faceva sul mucchio, in modo che fosse impossibile togliere anche poco grano senza che il segnale si deformasse. Mezzo empirico ma sicuro.
Queste incombenze evidentemente sarebbero passate a me. Quindi stavo molto attento.
Tumminu, mezzutumminu, munnieddu e cozza |
| Museo Civico di Petralia Soprana |
Finché si trattò di dividere cumuli di fave, orzo, avena ecc., la divisione tra mezzadro e padrone avveniva perfettamente a metà. Le mie amare sorprese vennero al momento della divisione dei cumuli di grano.
Sempre in compagnia del maestro-soprastante, andiamo a dividere la prima "aia" (cioè cumulo di frumento) di grano nettato. Un mucchio immenso! Questa volta il soprastante aveva con sé un grosso registro. Mi spiega che lì dentro è scritta tutta la situazione contabile di ogni mezzadro. Inizia la misurazione: apre il registrone cerca il nome del mezzadro e dà ordine al misuratore di iniziare il lavoro, u vurdunaru è pronto con le bisacce (specie di grandi sacchi di olona atti a caricarsi sui muli) aperte per riempirle e caricarle sui muli.
Iniziò il prelievo che mi impressionò sfavorevolmente, molto sfavorevolmente! Non ricordo con precisione i quantitativi di grano sottratti ai poveri mezzadri prima della divisione del cumulo: li nominerò con una "x":
X tumoli (3) per il soprastante - x tumoli per il campiere - x tumoli per il guardia cozzo (e il cumulo si assottigliava sempre di più) x tumoli per la Madonna, x tumoli per metà delle sementi di fave - x tumoli per le sementi di grano e x tumuli se c'erano altre sementi. E il cumulo si assottigliava a vista d'occhio...
Poi continuava il prelievo per eventuali debiti personali del mezzadro a favore del padrone. A contabilità ultimata il grande mucchio iniziale si era di molto assottigliato, quando finalmente avveniva la divisione a metà! Come accennato, rimasi negativamente colpito da questo modo di dividere. Mi stava bene il pagamento dei debiti contratti con il padrone, ma il resto assolutamente no.
Poi continuava il prelievo per eventuali debiti personali del mezzadro a favore del padrone. A contabilità ultimata il grande mucchio iniziale si era di molto assottigliato, quando finalmente avveniva la divisione a metà! Come accennato, rimasi negativamente colpito da questo modo di dividere. Mi stava bene il pagamento dei debiti contratti con il padrone, ma il resto assolutamente no.
Ovviamente potevo solo constatare e riflettere, non certo cambiare le inveterate abitudini così, lì per lì.
L'esigenza terminò, le derrate furono tutte trasportate nei magazzini del marchese e il soprastante alla fine di agosto se ne andò.
Iniziata la mia attività di soprastante, la prima cosa che ho fatto allorché ho preso in mano io le redini dell’amministrazione, è stata quella di disporre che tutti gli impiegati mangiassero a carico dell'azienda Pottino, in modo che quel misero partutu lo potessero portare tutto in famiglia. Un po’ di guadagno in più. Ovviamente mi sono guadagnato la gratitudine di questi poveracci, che vivevano lontani delle famiglie 340 giorni l’anno.
Per il resto, sono rimasto solo e senza eccessivi impegni. Gli impegni sarebbero ritornati verso ottobre-novembre per la semina.
Così, cavalcando in lungo e largo per i feudi, in questi oziosi giri, notai una cosa che non capivo e che mi fece riflettere: moltissima terra non era coltivata e si trattava di buona terra pianeggiante. Cercai di capire il perché, chiedevo in giro, ma stranamente, non ricevevo risposte esaurienti. Andai a parlare con il curatolo, pensando che le terre lasciate incolte servissero per il pascolo. Mi spiegò che le pecore pascolavano nelle cunzarri (le cunzarre sarebbero terre scoscese e pietrose dove non era possibile seminare). A forza di chiedere qua e là, scopro che il vero motivo stava nel fatto che, dato il sistema di divisione, ai mezzadri non conveniva lavorare molta terra, che avrebbe aumentato solo la spesa e la fatica.
| Aratura Biblioteca Frate Umile Pintorno |
Intuisco, e non c'è voluta molta intelligenza, che dividendo il grano con più equità i mezzadri avrebbero seminato più terra.
Dopo un paio di giorni mi reco a Soprana, si capisce a cavallo, cinque ore di dondolio!
Parlo con il marchese, che essendo estate, era nel palazzo di Soprana, ed espongo il mio pensiero e proposito. Non so se l'abbia capito ed assimilato bene! Comunque mi risponde: "Fai tu quello che credi sia più opportuno e giusto fare, di te mi fido”.
Praticamente ricevo carta bianca, la uso ed ottengo, a suo tempo, il risultato che speravo: una raccolta dì grano molto più abbondante dell'anno precedente, quasi il doppio. Ed ecco come.
Si era a metà settembre circa, nel feudo c'erano pochi mezzadri, ma dovevo far sapere a tutti il nuovo rivoluzionario sistema che era mia ferma intenzione adottare. Non ebbi a faticare molto. Ai pochi mezzadri presenti chiarii il mio programma, cioè: non più balzelli e tenute varie per soprastante, campiere, guardia cozzo ecc., non più pagamento di mezza semente, concime ecc. MA DIVISIONE NETTA AL CINQUANTA PER CENTO DELLA PRODUZIONE.
La notizia si sparse e tutti vennero a sincerarsene. Non pochi erano scettici, pensavano che fosse troppo bello per essere vero.
Trascorsi alcune settimane di ferie a Soprana, a Monaco non c'erano compiti specifici da assolvere. Ai primissimi di ottobre 1944 ritornai a Monaco, si avvicinava il tempo in cui i mezzadri venivano in fattoria per chiedere di avere assegnata la terra da seminare e ritirare il concime e le sementi.
Attendevo con ansia questo momento, sarebbe stata la prova del nove di quanto speravo succedesse, cioè l'aumento della terra da seminare. Dal 10 ottobre iniziarono ad arrivare i primi mezzadri, io avevo il registro con tutti i loro nominativi ed accanto il relativo quantitativo di terra presa l'anno precedente. Subito mi accorsi, e con piacere, che il mio teorema funzionava. Ciascun mezzadro richiedeva anche il doppio della terra richiesta l'anno precedente!
| Semina Archivio Ernesto Messineo |
Ma forse il più felice sono stato io: per non aver fatto cattiva figura, non aver tradito la "carta bianca" datami dal marchese ed aver attuato, più ancora, una giustizia sociale.
Con questo raccolto e questa soddisfazione, avendo deciso di darmi all'insegnamento, si chiuse la mia esperienza di soprastante.
Note di redazione
1) Eugenio Ettore Pottino di Capuano, marchese di Echifaldo (Petralia Soprana 1874-1945), deputato dal 1924 al 1943.
2) L’UCSEA era un organismo pubblico locale, istituito nel dopoguerra, con l’obiettivo di gestire e monitorare la produzione agricola, raccogliere dati economici e controllare e organizzare la consegna ai “granai del popolo” o altri ammassi di prodotti agricoli soggetti a disciplina post-bellica.
3) U tumminu era l'unità di misura del grano, variabile da paese a paese, corrispondente all'omonimo recipiente colmo, equivalente a circa 17,5 kg.
4) Gaetano Nicolò Pottino di Capuano, marchese di Echifaldo (Palermo 1914 - Roma 1969) docente di sociologia e filosofia giuridica presso l'Università di Messina, autore di diverse pubblicazioni.
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