È meraviglioso come ad Acquamara, piccolo e tranquillo quartiere di Raffo, sito su di un’altura tra l’abitato e la miniera, si concentrino in poco spazio i vari effetti di una serie di importanti e antichissimi sconvolgimenti geologici.
Oltre 6 milioni di anni fa lo Stretto di Gibilterra si chiuse.
Il Mediterraneo rimase isolato e per la forte evaporazione, si prosciugò parzialmente. In quella fase il livello marino si abbassò, la salinità aumentò, e si accumularono vaste
evaporiti, cioè depositi di gesso/anidrite (CaSO₄) e di salgemma (NaCl). In altre parole, grandi quantità di sale e gesso si depositarono sul suo fondo. Quando lo Stretto si riaprì, l'acqua del mare affluì nuovamente, facendo risalire il livello del Mediterraneo, ma questi strati di sale e gesso rimasero sepolti.
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La fase di massima essiccazione del Mediterraneo (al centro) |
Quando poi nei milioni di anni successivi,
si venne a formare la catena delle Madonie, sollevandosi lentamente, questi strati profondi vennero “portati in alto”, fino ad affiorare vicino alla superficie.
È a questi fenomeni secolari che oggi, a Raffo e ad Acquamara, dobbiamo sia la vicina miniera di salgemma, che la presenza diffusa del gesso. E per lo stesso motivo, qui sgorgava una sorgente “amara”: un’acqua profonda che risaliva e attraversava gli strati di questi antichi depositi, e che ha dato il suo nome al rione.
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| Strada selciata di accesso ad Acquamara |
La sorgente Acquamara
L'acqua scaturiva a monte del quartiere da "U locu venienu" ed era di gusto sgradevole perché arricchita in solfati e cloruri; vi erano presenti anche tracce di argento. Oggi la sorgente non è più attiva in superficie: da alcuni anni infatti l’acqua si è infiltrata nella miniera.
La tradizione locale ne ricorda le proprietà curative per alcune patologie cutanee e nel riassorbimento di cicatrici anche incancrenite.
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| Antichi caseggiati e angoli verdi |
Il territorio di Acquamara apparteneva alle famiglie nobili dei Pottino e dei La Motta.
Il nucleo abitato veniva indicatao dai Rafari come u quarteri 'i Suttanisi, perché fu fondato dalla famiglia dei Guarnuto di Petralia Sottana, che gestivano un allevamento suino e furono i primi a stabilirsi in quella zona.
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| Edicola dedicata alla Madonna |
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L'abbeveratoio nell'abitato
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Sito a poca distanza dalle abitazioni di Acquamara, l'abbeveratoio di Vucca a buffa, risalente al '700, è uno dei più caratteristici di Petralia Soprana. Articolato in ben sei scifi, era alimentato dalla sorgiva da zotta ranni. Forniva acqua calcarea, adatta per abbeverare il bestiame.
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| Scifi di Vucca a buffa |
U issu, una pietra da cuocere
Al giorno d'oggi è stata praticamente dimenticata la produzione artigianale du issu che pure è stata attiva sino a quaranta anni fa e che per secoli, ha costituito una ricchezza importante per gli abitanti delle Madonie.
In particolare per quelli delle Petralie, che sfruttavano le risorse geologiche naturali della zona, a Raffo appunto, così come a Petralia Sottana, nelle cave e con il mulino dei f.lli Scelfo.
La stessa toponomastica del territorio rammenta in più luoghi l'attività di lavorazione del gesso. L'esempio più evidente è il nome di Carcarelli, frazione di Castellana Sicula. A Petralia Soprana centro esiste una via Gessaiuoli, in ricordo di chi svolgeva questa attività necessaria e faticosissima. Sta di fatto che pur essendo molto più diffuso dello zolfo, il gesso è stato molto meno celebrato.
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| Issalura |
Oltre alle cave, in molte contrade la materia prima poteva facilmente essere ricavata dagli affioramenti di gessite. A quei tempi, nelle diverse borgate i contadini si costruivano le case da soli e si procuravano così i materiali in natura, organizzandosi collettivamente per la lavorazione con fornaci di moderate dimensioni di fattura artigianale, situate in campagna.
Ad Acquamara i terreni degli affioramenti gessosi appartenevano alla famiglia Pottino, ai quali andava quindi chiesto il permesso di prelevare pietre, permesso che veniva concesso in cambio di giornate lavorative.
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Controsoffitti antichi in canne e gesso a Cipampini |
La molecola di solfato di calcio del gesso si trova in associazione con due molecole d'acqua. U issu, se sottoposto a cottura a 120–160 °C, muta quindi la sua struttura perdendo l'acqua e diventando gesso semi-idrato, una pietra porosa, che è chiamata appunto gesso cotto. Un materiale molto versatile e fondamentale nella tecnica di costruzione edilizia dei secoli passati, sino all'avvento dei prodotti moderni.
Frantumato e sfarinato, veniva usato in tutte le costruzioni delle Madonie sia come intonaco per le pareti, che per i solai in canne. Inoltre, mischiato con la sabbia, aveva lo stesso uso dell'odierno cemento, per legare le pietre di tufo delle abitazioni.
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A carcara 1 e 2 : aperture per l'alimentazione e lo scarico della cenere. 3: fuoco. 4: pietre di gesso in cottura. 5: sfiatatoi per il fumo. |
A carcara
A questo scopo, la pietra di gesso estratta dalle cave o dagli affioramenti andava innanzitutto frantumata in blocchi e cotta, in speciali fornaci realizzate a mano in campagna.
A carcara era una costruzione in pietre a tronco di cono dell'altezza di 2 o 3 m, realizzata sfruttando incavi rocciosi naturali o addossandola ad una parete naturale di appoggio.
È il caso della carcara di Acquamara, della cui struttura non esiste più nulla perché le pietre sono state tutte recuperate e riutilizzate. Sono ancora visibili solo le tracce della lavorazione effettuata in passato sulla parete rocciosa di appoggio.
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Sito della vecchia carcara di Acquamara
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La tecnica di riempimento doveva essere sapiente: si scavava una fossa sotto, dove doveva essere sistemato il combustibile per il fuoco, alimentato da una provvista di paglia di fave, fascine, ddisa o scarti del legno. Poi avveniva la selezione delle pietre, in base al taglio e alla grossezza, per collocarle in maniera tale da consentire che il calore del fuoco, situato alla base, si introducesse senza ostacoli e cuocesse uniformemente il materiale, sino a quello situate in cima. Si sistemavano anche pezzi di gesso già cotti da riciclare.
Veniva lasciata un'apertura alla base per alimentare il fuoco, a vucca. Si proteggeva l'esterno con uno strato di pietre e soprattutto di argilla per chiudere il tutto ermeticamente. Poi si appiccava il fuoco.
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| Cottura delle pietre di gesso |
La arduta da carcara durava 24 ore durante le quali gli addetti al rifornimento di combustibile dovevano alternarsi di continuo. Come ricorda Peppino La Placa, era a Raffo l'occasione per i giovani che volevano dare una mano di aiuto, di trascorrere una notte bianca, un evento che permetteva loro di socializzare, di avviare magari un fidanzamento...
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Le tracce di cottura e l'annerimento della parete rocciosa provocati dal fuoco.
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Si manteneva infatti all'interno della fornace una temperatura moderata (non superiore a 200 °C): troppo calore avrebbe “bruciato” il gesso rendendolo inutilizzabile. Dopo una notte e un giorno, per controllare la cottura dell'integralità delle pietre, si buttava una manciata di paglia nella sommità della fornace, e se prendeva fuoco, era segnale che anche le pietre site alla sommità erano cotte.
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Una pietra di gesso cotto risalente all'ultimo uso della carcara |
Si apriva quindi la carcara e la si smantellava quel tanto da poterla svuotare delle pietre di gesso, lasciando intatta quanto più possibile la struttura esterna, che veniva riutilizzata più volte.
Le pietre cotte estratte venivano lasciate raffreddare nello spiazzo davanti alla carcara e lavorate direttamente sul posto. Venivano frantumate manualmente da diverse persone. Con mazze pesanti le colpivano ripetutamente fino a ridurle in granelli, che venivano poi setacciati, pronti per essere impastati con acqua al momento dell’uso. Mal di schiena e ustioni erano frequenti nei carcarari.
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Dopo la visita al sito della carcara, una deliziosa collezione di piante grasse di ogni tipo, amorevolmente curate da una delle attuali discendenti della famiglia Guarnuto, ci invita a prenderci un po' di tempo in questo luogo di splendida natura e di quiete assoluta.
Cenni bibliografici
- Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia (Vol. 6, Tomo 1, 1908 e Tomo 2. 1910), Tipografia nazionale Bertero
- Decreto dell'Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione in data 1 aprile 1998 - Dichiarazione di notevole interesse pubblico di un'area a ridosso della perimetrazione del Parco delle Madonie, ricadente nei comuni di Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Soprana e Petralia Sottana.
- Giuseppe La Placa,
Un mondo che scompare, nel bacino dell'Alto Salso, Comune di Petralia Soprana, 1994
- Giuseppe La Placa, Un mondo che scompare, vol. 2, Edizioni Arianna, 2013
- Ascenzio Li Puma, Scialè, Edizioni Arianna, 2016
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| Vista da Acquamara |
Ringraziamenti a Peppino La Placa e Enzo Orlando
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