Gli SGADARI

 



 

La nobile famiglia Sgadari, una delle più importanti delle Madonie dal XVII al XIX secolo, è stata a lungo ai vertici della vita sociale ed economica di Petralia Soprana e di Gangi, lasciando il segno anche in altri centri della Sicilia come Mussomeli e Noto, così come a Palermo.
La sua storia è rappresentativa di un'aristocrazia non più lontana e improduttiva, ma protagonista della vita locale, strettamente a contatto con la realtà economica e sociale e concretamente interessata al suo miglioramento.


Blasone della famiglia Sgadari
Palazzo Sgadari a Gangi


Le prime notizie della sua presenza nelle Madonie si hanno nel 1651, nei "riveli" di Petralia Soprana (cioè nelle dichiarazioni dei redditi dell'epoca) e riportano una originaria grafia del cognome: Lo Sgadaro (analoga a quella dei Lo Squiglio di Petralia Soprana) cognome che, come era l'uso per le famiglie nobili, venne pluralizzato in Sgadari. 

Don GIUSEPPE e don FRANCESCO SGADARI, entrambi molto facoltosi, esercitarono nella seconda metà del '600 tra Gangi e Petralia Soprana, la pubblica funzione di notai. In quell'epoca, nel regno di Sicilia, questi ultimi provenivano spesso dall'aristocrazia ed erano equiparati ai cavalieri.
Entrambi svolsero importantissime funzioni pubbliche nell'uni­versità di Petralia Soprana (il comune di allora), Giuseppe come giurato ma soprattutto Francesco come governatore (cioè alter ego dotato di pieni poteri) di Luigi Guglielmo Moncada, conte di Collesano e barone delle Petralie, che in quel periodo viveva esclusivamente in Spagna. 
Nel 1720 GIULIO SGADARI fu a sua volta proconservatore di Petralia Soprana.


Matteo Sgadari


MATTEO SGADARI (1696-1760)
Il figlio di Francesco e di donna Caterina Palazzotto e Sgadari, don Matteo Sgadari (nato nel 1696) divenne anche uno di quei grandi locatari cui, in quel preciso periodo storico, certi feudatari, sempre più assenti dalle loro terre e preoccupati solo di mantenere il proprio tenore di vita sociale a Palermo, cedevano la gestione dei loro possedimenti, con pieni diritti e poteri nei confronti dei contadini.
Il 24.1.1728, Matteo Sgadari sposò Giuseppa Anna Bongiorno di Gangi, figlia di Antonio, barone di Capuano. La stessa era sorella di Francesco Benedetto Bongiorno (il futuro fondatore col fratello Gandolfo Felice, dell'Accademia degli Industriosi di Gangi). 

Un primo palazzo abitato dalla famiglia Sgadari a Petralia Soprana si trovava in via Fonderia. Sulla piazzetta in cui finisce via S. Cosma, si affacciava la cappella del palazzo, dedicata al Crocefisso, oggi inglobata dalle varie ristrutturazioni. 


Ingresso di Palazzo Sgadari
 in via Loreto a Petralia Soprana 


Successivamente si stabilirono nel più antico e prestigioso palazzo nobiliare di Petralia Soprana, quello della famiglia Longi o Alongi in via Loreto, acquisito insieme agli edifici adiacenti, fra cui quello indicato nei documenti antichi come il "palazzo con le finestre a colonna". Vennero così in possesso di un intero isolato dalla via Cairoli alla via Loreto, che prende oggi il nome di palazzo Sgadari-Averna, dal nome degli ultimi coeredi.


Palazzo Sgadari 
Petralia Soprana


Villa Sgadari, la casina di campagna 
Matteo Sgadari contribuì a dare vita a Petralia Soprana ad uno dei momenti di più strabiliante fioritura dell'architettura sia civile che religiosa.
Infatti a lui si deve innanzitutto l'edificazione di Villa Sgadari, uno dei più bei complessi residenziali settecenteschi siciliani, oggi acquistato dall'Ente Parco delle Madonie.



Villa Sgadari
Petralia Soprana


Alle porte di Petralia Soprana, sulla strada che collega le Petralie con Gangi, un portale barocco si apre su di un viale alberato, il quale attraverso un ampio parco, conduce con morbide curve sino a Villa Sgadari.
A chi giunge, l'edificio si presenta di fianco e sembra quasi sbucare dalla roccia, come un grosso animale acquattato. La parte posteriore dell'edificio è infatti adagiata sul declivio e vi si conforma.


Villa Sgadari


Dall’impianto piuttosto regolare, l’abitazione presenta al piano terra una lunga galleria con volte a crociera che occupa l’intero fronte, mentre al piano nobile è posta una sequenza di sale con volte a padiglione, decorate da motivi naturalistici e allegorici. Fra gli affreschi spicca La Primavera,  riprodotto nella foto che introduce questo post.
A monte della villa venne innalzata una torre d'avvistamento che domina tuttora il territorio e che è divenuta parte inscindibile del paesaggio di Petralia Soprana. Ne abbiamo parlato nel post La Torre.


Torre Sgadari

La costruzione di Villa Sgadari verosimilmente risale al 1750 circa. Infatti in una lettera di quell'anno, don Matteo fornisce le direttive sul cantiere al figlio Francesco, che si trovava a Palermo per motivi di studio: "Al bordonaro fammi caricare di mattoni, e il signor Miracola ora o col ritorno di altri bordonari che manderai in appresso ne dovrà consegnare n. 76... a Don Miracola pagherai onze 10. Se mastro Saverio Cirvillari farà prestare plagerie di un suo cognato abile doratore di onze 5: per caparra di venire a servirmi alla casina dove mi necessita pagherai le onze 5: dovendosi per il contratto della plageria» (M. Dino, N. Russo, 1988-89)."




A Villa Sgadari sono di rilievo anche i pavimenti in maiolica e gli infissi caratterizzati da decori ispirati all'iniziale del cognome di famiglia, che conferiscono ulteriore prestigio alla dimora.
Proprio sotto l'ingresso principale della villa, lungo il viale, venne creata una "floretta" con labirinto all'italiana, statue e sedili in pietra.





La masseria del feudo S. Giovanni
Nel feudo S. Giovanni, uno dei più ricchi possedimenti rurali pervenuti a Matteo Sgadari per via ereditaria, come da notizie familiari, nacque un grande centro di raccolta dei prodotti del latifondo. Lo si può tuttora ammirare in quanto una porzione dell'aristocratica dimora è stata recentemente ristrutturata a fini turistici da Maria Antonietta Sgadari, attuale discendente del ramo di Gangi. 


Vista della masseria S. Giovanni Sgadari


 
Si era in un'epoca di diffusione in Sicilia delle casine aristocratiche per la villeggiatura, utili ai grandi baroni siciliani, dal punto di vista politico e sociale, per consolidare il loro potere locale, facendo al contempo pesare una certa distanza e autonomia dalla mondana corte palermitana dei viceré spagnoli. 
In quest'ottica, le ville nobiliari siciliane del Settecento, intese come dimore per trascorrere la stagione estiva, si combinarono spesso con modelli architettonici di tipologia e funzione diversa, come ad esempio le masserie, centri di raccolta delle messi e di lavorazione dei prodotti agricoli, oltre che di allevamento.


Ingresso della dimora nobiliare
masseria S. Giovanni Sgadari

A S. Giovanni, questa commistione è particolarmente evidente, in quanto nella struttura, composta da più caseggiati e da tre corti interne, Matteo Sgadari fece persino realizzare, cosa insolita per le residenze padronali del latifondo madonita, un giardino con labirinto all'italiana. L'antica dimora gentilizia, separata da un autonomo cortile racchiuso, secondo la tradizione spagnola del patio, è tuttora abitata, e si continuano a scolpire nella vegetazione le iniziali del barone Sgadari.


Il giardino all'italiana



Ex granaio della masseria


Il nuovo fulgore dell'arte religiosa a Petralia Soprana
Matteo Sgadari si prodigò inoltre per quella felice stagione di rinnovamento architettonico religioso avviatasi nel centro cittadino di Petralia Soprana, con la ricostruzione della Chiesa di S. Maria di Loreto (a partire dal 1740) e proseguita con il rifacimento della chiesa del Sacro Cuore (a partire dal 1759) e con il rinnovo del loggiato antistante la Chiesa Madre (avviato negli anni 1740 e finito nei tardi anni 1760).
Nel 1748 aveva offerto alla Chiesa Madre la Madonna del Carmelogrande dipinto di Filippo Randazzo da Nicosia, che vi si può tuttora ammirare.




Ma fu soprattutto alla chiesa di S. Maria di Loreto che da sempre si mostrò legata la famiglia Sgadari. 
Già nel 1719 alla realizzazione del primo organo della chiesa, opera di Giuseppe La Manna, aveva contribuito il proconservatore GIULIO SGADARI.
La chiesa (nella sua forma originaria con un solo campanile) era stata però danneggiata in modo irrecuperabile dal terremoto del 1693, per cui divenne inevitabile una sua drastica ricostruzione
Il nome dell'artefice del sofisticato progetto della nuova chiesa non è noto. Le linee convesse e lo stile sofisticato dell'edificio, come lo conosciamo oggi, mostrano con evidenza che si trattava di un architetto pratico sia delle innovative creazioni di Rosario Gagliardi, il ricostruttore di Noto, che di soluzioni analoghe adottate a Trapani, a Siracusa, ma anche nell'Austria degli inizi del XVIII secolo. 


S. Maria di Loreto
Foto degli anni 1980

Va considerata la possibilità di un ruolo attivo nella progettazione da parte del cognato di Matteo Sgadari, l'architetto dilettante Gandolfo Felice Bongiorno (1722-1801), il quale negli stessi anni si trovò regolarmente a Petralia Soprana, in quanto incaricato della supervisione sia dei lavori presso la Chiesa del Sacro Cuore che, anni dopo, dell'edificazione della nuova chiesa del SS. Salvatore. Fatto significativo è che le maestranze specializzate provenissero dalla Sicilia orientale. Gli studiosi hanno osservato d'altronde che un altro ramo della famiglia Bongiorno era stabilito a Noto, ove venne costruito un palazzo ispirato a quello stesso stile. E, aggiungiamo noi, a Noto esisteva anche una famiglia notabile Sgadari, composta da giudici e alti funzionari, che prese parte rilevante alla vita cittadina sin dal Settecento, come ricorda tuttora l'intitolazione di una via netina.


La guglia terminata nel 1860
Foto degli anni '80

I lavori si protrassero durante tutta la seconda metà del XVIII secolo, e il Loreto assunse il suo definitivo aspetto solo esattamente a cento anni dalla morte di Matteo, grazie al suo pronipote GIUSEPPE ANTONIO SGADARI (1804-1855).

Infatti, pur prevedendo il progetto la presenza di due campanili, di cui quello di destra, preesistente, era stato inglobato nella nuova costruzione, fu solo nel 1850 che venne innalzata la torre campanaria di sinistra, dotata di un campanone a spese dello Sgadari. Egli sovvenzionò anche il completamento del campanile stesso con la cuspide maiolicata, terminata dopo la sua morte in coincidenza con l’Unità d'Italia, nel 1860. 




La lapide funeraria
Villa Sgadari ha il prospetto rivolto verso il Loreto. E fu ovviamente a S. Maria di Loreto che nel 1760 Matteo venne sepolto, così come lo furono in seguito i suoi discendenti. 
In una cappella laterale è sita la lapide dell'ossario di famiglia, ove si legge:
Qui de Sgadari eroi
scheretro infranto
la nobile salma si
racchiude, giace
tu che le passi
o viatore accanto,
prega all'ossa onorate
eterna pace.

Lapide dell'ossario degli Sgadari
Chiesa S. Maria di Loreto


GIUSEPPE ANTONIO SGADARI (1737-1794)
Primogenito di Matteo, egli ottenne con privilegio del 9.11.1765 il titolo di barone della Celsa, sposò Rosalia Minneci, rampolla di una delle famiglie più facoltose di Mussomeli, ed ivi fece edificare palazzo Sgadari. Si dedicò prevalentemente all'industria agricola, stringendo rapporti di grande amicizia con don Giuseppe Lanza di Trabia, conte di Mussomeli. La dimora venne dotata di un grande giardino indicato nella consuetudine locale come "il Giardino dello Sguadaro", perché voluto proprio dal barone. Il palazzo, uno degli edifici più rappresentativi di Mussomeli, venne poi ceduto alla famiglia Schifano e sottoposto ad ampliamenti, adibito nell'800 a carceri, e poi negli anni 1920, a casa comunale.  Ristrutturato, è  divenuto sede dell'Antiquarium Archeologico e fa mostra di sé in via della Vittoria.



Palazzo Sgadari a Mussomeli


Il feudo della Celsa
Questo feudo in territorio di Alimena portava il nome delle piante che vi predominavano, i gelsi. 
Infatti sia nelle Petralie che nel resto del Val Demone, era diffusa un tempo la gelsicoltura, finalizzata alla coltivazione dei bachi da seta. La cura del baco, u vermu, era una attività svolta a livello familiare, prevalentemente dalle donne. 


Masseria del feudo Celsa (Alimena)
Foto di Domenico Gulino 

La bachicoltura e l'estrazione della seta grezza furono attività fiorenti nelle Madonie del XVI e XVII secolo, e nelle Petralie era addirittura prevista, per la seta, al pari delle merci fondamentali come il frumento o le fave, una "meta" cioè un prezzo calmierato, disposto dall'autorità comunale. E gli Sgadari sfruttarono commercialmente queste ingenti risorse.
Questa attività scomparve poi a causa di una malattia che aveva colpito il baco, e del calo delle esportazioni, dovuto a ragioni politiche e a guerre.


Il feudo Celsa e Alimena
 nel catasto borbonico (1840 ca)


FRANCESCO SGADARI (1740 ca-1763)
Il secondo figlio di Matteo, don Francesco Sgadari, nato a Petralia Soprana nel 1729, studiò a Palermo, ove acquistò notorietà. Ritornato a Petralia Soprana intorno al 1755, oltre ad amministrare oculatamente le ricchezze familiari, si adoperò per il bene del paese.


Francesco Sgadari


Nel 1760 Francesco fu insignito del titolo di barone di Lo Monaco dal viceré Fogliani, che governava allora il Regno di Sicilia per conto di Ferdinando III di Borbone. Si era in un periodo storico caratterizzato da una forte conflitto fra le volontà riformistiche dei Borbone e la strenua difesa dei poteri feudali da parte della casta baronale siciliana.


Privilegio vicereale
 di concessione del titolo
a Francesco Sgadari
4.9.1760

Francesco morì prematuramente nel 1763, a soli tre anni dalla morte del padre Matteo, lasciando due figlie, Porzia e Serafina, che sposarono entrambe esponenti in vista dell'antica nobiltà palermitana.


Blasone della dimora padronale
 Masseria S. Giovanni Sgadari 


Il blasone e il motto
D’azzurro alla fontana d’argento sulla pianura erbosa, vi troviamo un leone d’oro rivolto al sole, mentre un braccio armato impugna una spada d’argento, segno di tradizione cavalleresca. 
Coerentemente con il motto della famiglia: Il sole splende, il leone beve alla fontana, la spada lo difende.
Il nome Sgadari non è diffuso in Italia, ed evoca il protogermanico gàdaren (colui che riunisce), lemma che ha dato origine in inglese al verbo to gather, riunire, e all'avverbio to-gether, insieme. Un'altra ipotesi collega il cognome, soprattutto nella sua forma antica "Sguadaro", alla parola tedesca schwert (spada). Infatti si ritrova in quest'ultima l'evoluzione nell'idioma germanico della sequenza indo-europea gw. Entrambe le etimologie appaiono in linea con le origini del casato, che secondo una tradizione familiare, sarebbero appunto germaniche.


Il marchio del bestiame
 con le iniziali del barone Sgadari e la corona baronale


Presso la masseria S. Giovanni Sgadari si possono ammirare due bardature settecentesche d'apparato, per il cavallo del barone. In velluto ricamato con fili d'argento dorato, erano destinate a rivestire il collo del cavallo e a reggere le fonde delle due lunghe pistole poste anteriormente all'arcione, per occasioni di incontri ufficiali. Non va dimenticato che l'investitura conferiva al feudatario una piena autorità civile e penale sul suo territorio. Egli aveva anche il diritto di spostarsi con una scorta in armi, un vero piccolo esercito munito di divise, di cui sono rimasti ancora oggi alcuni cappelli, insegne e mostrine di tipo militare.


Bardatura equestre d'apparato
del barone Sgadari
(XVIII secolo)

Marchesi di Eschifaldo, baroni di Càcchiamo, Capuano e Raulica  
Al primogenito di Matteo, Giuseppe Antonio, seguirono PIETRO ANTONIO SGADARI e suo figlio MATTEO SGADARI e MINNECI (1834 - 1903). Quest'ultimo ereditò dai Bongiorno, cioè dalla famiglia di sua nonna paterna, i titoli su indicati. Che passeranno poi nell'Ottocento per via ereditaria, per il tramite della figlia di Matteo, Maddalena Sgadari, sposa di Michele Pottino, al figlio di lei Francesco Pottino e poi ai suoi odierni successori.


Il XIX secolo
All'eversione della feudalità, nell'Ottocento, la famiglia Sgadari raggiunse l'apice delle sue fortune economiche.  
Possedeva infatti in territorio delle Petralie ex feudi importanti come S. Giovanni, S. Andrea, Vanelle, Savochella, Saccù, Purgatorio, Pellizzara, Serraddamo, Chiarisi, Gurraffo e Salto, S. Miceli, Oliva, e, nel resto delle Madonie a Cava (Castelbuono) e a Regiovanni (Gangi). Ed inoltre in altre parti della Sicilia, Càcchiamo, Magalufo, Cisterna e Pietralunghe (Calascibetta), Mimiani (Caltanissetta), Ciuccafa e Mustigarufo (S. Cataldo), ed altri. 
In molti di essi erano presenti importanti masserie o dimore residenziali di campagna di grande prestigio.


Masseria di Mimiani ai primi del XX secolo

La masseria di Mimiani in particolare, che si articolava su due corti, era sede di un grande frantoio a vapore per la frantumazione delle olive, voluto dal barone Sgadari ai primi del Novecento.



Portale seicentesco della masseria del feudo Purgatorio
Foto di Domenico Gulino


Nel feudo S. Andrea, sito in origine in territorio di Petralia Sottana ed oggi di Castellana Sicula, e sede di un'elegante dimora nobiliare settecentesca in cui trascorrere la stagione estiva, venne impiantata da Giulio Litterio Sgadari una fiorente azienda agricola con prevalente produzione di olio.



Villa S. Andrea (Castellana)


GIULIO LITTERIO SGADARI (1835-1895)
Figura di particolare importanza fu il barone Giulio Litterio Raimondo, nato nel 1835, nipote di Pietro (terzo figlio di Matteo) il quale si prodigò per Petralia Soprana.



Giulio Litterio Sgadari 
Foto del 1874 ca


Come deputato dell'Ospedale S. Antonio e presidente della Congregazione di Carità, recuperò tutti i crediti che l'ente aveva, così da migliorare l'edificio e dotarlo di nuove attrez­zature, e gli lasciò una rendita annua.
All'Unità d'Italia nel 1860 istituì a Petralia il Corpo della Guardia Nazionale, che già pochi anni dopo, nel 1868, risultava composta da quattro compagnie con 431 militi attivi. Compito principale del corpo era di combattere il brigantaggio, ma in assenza di presidi sul territorio, i reparti della guardia assieme al sindaco erano in realtà gli unici punti di riferimento delle nuove istituzioni italiane.  Per questo suo operato, il barone ricevette da Vittorio Emanuele II la nomina a maggiore comandante della Guardia Nazionale.




Si profuse sempre nell'amministrazione comunale prima come consigliere comunale, assessore e vicesindaco e poi dal 1878 al 1894, come sin­daco.
Dotò l'abitato di un siste­ma di fontane pubbliche e di un corso principale. Infatti il centro era un continuo saliscendi di chiani e di scalinate, che non consentiva l'uso di carrozze. L'attuale corso Umberto I, realizzato dal 1883 al 1884, appianò i dislivelli, a scapito però di alcune delle facciate dei palazzi dell'epoca, che dovettero munirsi di nuovi portoni e si ritrovarono con alcune stanze sotto il livello stradale. 


Tracciato di corso Umberto a Petralia Soprana


Nel prospetto del palazzo Sgadari-Averna è evidente la linea originale del piano terra. La realizzazione della "rotabile" ha messo alla luce parte delle fondamenta.



Per queste innovazioni Giulio Sgadari fu nominato cavaliere e grande ufficiale della Corona d'Italia. 

Nel 1878 Giulio Sgadari fu sequestrato dalla banda Leone, ottenendo di essere rilasciato solo dietro pagamen­to di una somma ingentissima. La vicenda destò scalpore in tutto il mondo. Ne abbiamo parlato diffusamente nel post Briganti a Petralia.

Morì l'8 settem­bre 1895. Il Comune gli ha dedicato la via che prosegue il corso di sua creazione, nella parte bassa del paese, ricongiungendosi all'ingresso di Villa Sgadari. Inoltre a S. Giovanni gli è stata intitolata la via che porta alla omonima masseria.


Giuseppe Emanuele Sgadari (n. nel 1800)
a Villa Sgadari


Gli Sgadari a GANGI
La famiglia Sgadari è stata ai vertici anche di Gangi, e ivi ha costruito nel quartiere S. Cataldo l'ottocentesco palazzo che oggi è sede del museo civico, archeologico ed etno-antropologico, e della Pinacoteca Gianbecchina.


Palazzo Sgadari a Gangi


A Gangi visse prevalentemente FRANCESCO VALENTINO SGADARI (n. nel 1840 il cui padre era il terzo figlio di Matteo).


Francesco Valentino Sgadari
Olio del pittore gangitano
 Padre Antonio Jerone (1912)


Così come visse a Gangi il figlio di lui GIUSEPPE EMANUELE SGADARI (1883-1950), che godette di grande prestigio e di grandi poteri.
Erede di estesi latifondi, seppe gestirli ed organizzarli in modo moderno ed esemplare, tanto da riportare numerosi riconoscimenti a livello nazionale. Fu appassionato e famoso allevatore di cavalli.
Commendatore dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro, fu podestà di Gangi durante il fascismo, ed ebbe un ruolo molto importante nella stagione del Prefetto Mori, come riportato dalle cronache dell'epoca.


Giuseppe Emanuele Sgadari
nell'uniforme dell’Ordine Equestre
 del Santo Sepolcro

Al giorno d'oggi i discendenti del ramo di Gangi, figli del barone Francesco, hanno mantenuto alcuni dei vecchi possedimenti e risiedono a Palermo.


Gli Sgadari a PALERMO
Nel XIX secolo alcuni rami della famiglia abitarono soprattutto a Palermo. La loro dimora settecentesca, oggi non più esistente, era sita al Borgo Vecchio, in corso Scinà.
A Palermo vissero PIETRO ANTONIO SGADARI (1837-1897 nipote di Matteo) e suo figlio GIUSEPPE EMANUELE (1867-1924), il quale con decreto ministeriale del 20 maggio 1899 ottenne anche lui riconoscimento del titolo di barone di Lo Monaco, trasmissibile a maschi e femmine in linea primogeniale agnatizia more siculo, riconfermato poi con D. M. 1899 e D. M. 2 agosto 1925 all'erede PIETRO EMANUELE.
Nelle cronache mondane dell'epoca venivano puntualmente pubblicizzate le presenze della baronessa Ventura Sgadari alle serate di gala, così come i tornei di tiro al volo cui partecipava suo marito.



Palazzo Sgadari in corso Scinà
A Palermo negli anni '50


Il coupé del barone Sgadari
Gli spostamenti dalle Madonie in città richiedevano in quei tempi due giorni e mezzo circa di viaggio in carrozza, con le modalità che sono state così efficacemente illustrate da Luchino Visconti nella sua versione cinematografica del "Gattopardo" di  Tomasi di Lampedusa. E in particolare, per affrontare le trazzere polverose e piene di insidie, doveva trattarsi di una carrozza chiusa, specificamente destinata ai lunghi spostamenti, come il "coupé". E proprio una carrozza della famiglia Sgadari è stata ceduta al regista Visconti da Francesco Sgadari di Giuseppe Emanuele, del ramo di Gangi, per la realizzazione di alcune scene divenute leggenda, come quella del viaggio del principe Salina a Donnafugata. Qui sotto due fotogrammi del film che riprendono la carrozza, oggi custodita a Cinecittà. 





Fotogrammi dal film 
Il Gattopardo



PIETRO EMANUELE SGADARI (1906-1957)
Pietro Emanuele Sgadari, per gli amici "Bebbuzzo", barone di Lo Monaco, commendatore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, uomo coltissimo, giornalista, traduttore, critico d'arte e raffinato musicologo, fu un punto di riferimento nella vita culturale di Palermo tra gli anni '30 e '50.
Uno dei testi fondamentali per la conoscenza degli artisti siciliani resta ancora il suo Pittori e scultori siciliani edito da Agate a Palermo nel 1940.



Pietro Emanuele Sgadari
nell'uniforme 
dell’Ordine Equestre
 del Santo Sepolcro

In occasione dell'anniversario della marcia su Roma, scrisse un provocatorio intervento sul quotidiano "L'Ora", intitolato La grande Esclusa, con il quale denunciava una situazione di ristagno culturale della Sicilia dell'epoca. 




Fu critico musicale del Giornale di Sicilia nei dieci anni che seguirono la fine della guerra.
Amico di lunga data di re Umberto II, il suo palazzo palermitano fu sede di un vero e proprio cenacolo di eccellenze intellettuali nazionali come Riccardo Bacchelli, Italo Calvino e Bernard Berenson, e siciliane come Lucio e Casimiro Piccolo, o ancora Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Fu a lui che si rivolse l'autore del Gattopardo per una prima lettura del suo romanzo. Pietro Sgadari ospitò, aiutò e incoraggiò artisti come il pittore Renato Guttuso e scrittori come Leonardo Sciascia e Vitaliano Brancati.


Biblioteca di Pietro Sgadari di Lo Monaco


Dopo una vita di intenso mecenatismo aristocratico, Pietro Sgadari di Lo Monaco morì prematuramente senza figli, lasciando i suoi beni agli orfanelli.
Infatti gran parte della sua famosa biblioteca, ricca di incunaboli e di preziose edizioni, e delle sue collezioni di quadri d'autore, ceramiche ed oggetti d'arte, costituì un suo legato all'Opera Pia di Padre Messina, dalla quale pervennero rispettivamente alla Biblioteca Regionale e alla Galleria di Palazzo Abatellis di Palermo. Le sue raccolte di dischi vennero lasciate al suo caro amico barone Francesco Agnello e si trovano oggi presso l'Associazione "Amici della Musica" di Palermo. Così come altri oggetti di grande valore vennero distribuiti dal barone ai suoi amici più vicini.

Il Comune di Palermo gli ha intitolato una via.


Epilogo
Nel corso del ventesimo secolo villa Sgadari a Petralia Soprana subì un lento degrado. Il tetto era crollato e la villa era invasa dalla vegetazione.
Alla morte di don Matteo Sgadari (1764-1844) la proprietà era infatti passata al fratello Giuseppe Emanuele (nato nel 1800), che a sua volta la lasciò ai propri figli Giulio Litterio, Pietro Antonio e Francesco Valentino; quest’ultimo acquistò anche la quota del fratello Pietro Antonio, mentre la restante parte di Giulio passò a donna Assunta Averna, la sua consorte. Una relazione del 1904 sul «Casino e terre aggregate» testimonia la messa in coltura dei terreni circostanti e il buono stato della dimora, che era ancora abitata.


Villa Sgadari
 in un affresco del palazzo comunale di Petralia Soprana 


Nel 1910, i fratelli Ignazio e Vincenzo Florio tentarono di acquistare Villa Sgadari allo scopo di trasformarla in un grande albergo ma la trattativa non andò in porto, in conseguenza delle complicate vicende ereditarie degli Sgadari. 
Finalmente l'Ente Parco Madonie ha acquistato la villa e con un lungo lavoro di recupero, ha salvato questo pezzo di storia delle Madonie, inaugurandolo il 12 maggio 2012.
Negli ultimi anni la villa è stata sede di prestigiosi eventi nelle Madonie. In estate, nel parco si sono posti all'opera scultori di tutto il mondo, dando vita, con il sale della miniera di Raffo, alle creazioni della Biennale Internazionale di Scultura di Salgemma.
Nel 2015 i danzatori del Corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo hanno posato a Villa Sgadari per il famoso fotografo Giovanni Vecchi.

Oggi, l'Ente Parco ha avviato la realizzazione presso la storica villa di una biblioteca demo-etnoantropologica delle tradizioni popolari, con esposizioni stabili di carretti siciliani e di altre preziose memorie del passato siciliano e madonita.


Ph. Giovanni Vecchi


Ringraziamenti 
Maria Antonietta Sgadari, Pietro Cassaniti, Domenico Gulino, Santo La Placa e Mario Sabatino.



Scorcio della masseria S. Giovanni Sgadari

                          


Bibliografia

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- Antonino Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, A. Reber, Palermo 1912 - volume 2

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- F. Cascio, L’architettura religiosa del Settecento a Petralia Soprana, tesi di laurea, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Palermo, relatore M. Giuffrè, correlatore M. R. Nobile, a.a. 1995-96.

- Ferdinando Mazzarella, Rosario Ferrara, Petralia Soprana e il territorio madonita: storia, arte e archeologia, Atti del seminario di studi, Petralia Soprana Chiesa di San Teodoro 4 agosto 1999, Comune di Petralia Soprana

- Mario Rosario Nobile, L'Architettura religiosa a Petralia Soprana nel Settecento, ipotesi e riflessioni, ibidem

- Tommaso Romano (a cura di), Personaggi di Provincia VI parte, supplemento della rivista Palermo,  1977

- S. Farinella (a cura), Atlante dei Beni Culturali in pericolo delle Madonie, Palermo 2004 e in Espero, 1 aprile 2007

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- Giuseppe Antista, Le chiese a pianta centrica nelle Madonie: Santo Stefano a Geraci, in Arte e storia delle Madonie,  Studi per Nico Marino, Voll. IV–V A cura di Gabriele Marino e Rosario Termotto Associazione Culturale “Nico Marino” Cefalù PA, ottobre 2016

- Giuseppe Antista, I Tesori architettonici nel Parco delle Madonie,  Ente Parco delle Madonie, 2011

- Valeria Micillo, Corso di filologia germanica Dall'indoeuropeo al germanico. Università di Napoli L'Orientale. 2018

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- Tommaso Romano, Il barone Bebbuzzo Sgadari di Lo MonacoThule 2020



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