Con rammarico constatiamo che alcune forme del lavoro di un tempo si siano "perse" per la memoria futura, perché all'epoca, non sono state adeguatamente documentate. Un po' perché ritenute scontate, umili e prive di interesse. Un po' perché erano operazioni che si fondavano su di una tradizione secolare, e perciò quasi munite di una garanzia di eternità, che è stata invece travolta in pochi decenni dal progresso. Va detto che la tecnica fotografica o cinematografica, sino a 70 anni fa, non era così diffusa, né alla portata di tutti.
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Fotogramma dal cortometraggio Parabola d'oro
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E' quindi molto arduo trovare rappresentazioni di un'incombenza fondamentale che gli agricoltori e allevatori petralesi condividevano con la generalità dei lavoratori della terra in Sicilia e altrove: quella della costruzione del "burgiu", cioè del cumulo all'aperto di fieno o di paglia, chiamato in altre regioni d'Italia burca, barco, bica o trimugna. Era il deposito delle provviste per il bestiame, in previsione della cattiva stagione. La paglia aveva mille usi: oltre a rendere asciutta la stalla, serviva ad accendere il fuoco, a riscaldare il forno per la confezione del pane, per riempire i materassi, ed altro.
Doveva quindi realizzarsi un mucchio ordinato e adeguatamente protetto dalle intemperie, sito nelle vicinanze delle stalle, e da cui il prelevamento potesse venir effettuato gradualmente, iniziando da una delle estremità, per sezioni verticali. Presso le masserie si trovavano sempre due o più strutture come queste, distinte per il fieno e per la paglia.
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Una trimugna a forma di torre in Calabria |
La parola burgiu deriva probabilmente dall'arabo burg che significa torre.
Nel libro La casa rurale nelle Madonie leggiamo che l'aspetto tipico del burgiu in questo territorio non era però quello circolare a torre, riscontrabile appunto in altre parti del Mezzogiorno e della Sicilia. Aveva invece una pianta rettangolare molto allungata e sagoma prismatica. Ernesto Messineo, esperto della cultura rurale sopranese, ne paragona la forma a quella di un gianduiotto. La necessità di un rapido sgrondo delle acque determinava infatti una inclinazione molto pronunciata dei fianchi, che erano protetti da un impasto di terra e di paglia.
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da Parabola d'oro
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Egli ci ha fornito precisazioni, fondate anche sui suoi ricordi personali. Nell'Archivio delle tradizioni popolari di Pitrè, abbiamo poi trovato altri dettagli significativi su come si svolgevano le operazioni nell'Ottocento.
Molto interessante era la formazione della sagoma attraverso la stratificazione del materiale da abburgiari e la copertura con un impasto di argilla e paglia che una volta asciugato, assicurava la impermeabilità.
Massima importanza aveva l'esposizione, dovendosi proteggere i fianchi della struttura, più lunghi, dalla furia dei venti nella cattiva stagione. I due lati più corti del parallelogramma venivano pertanto rivolti rispettivamente a nord e a sud.
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Pala e tridenti |
Poiché l'operazione era complessa, in presenza di grossi quantitativi, ci si rivolgeva ad uno specialista, che veniva pagato a forfait, cibarie comprese o meno, oppure in caso di lavoro lungo, a giornata. Era lui a provvedere alla delicata operazione di tessiri la paglia, cioè di comporre sapientemente i mucchi in modo pianificato e stabile, man mano che cresceva in altezza. U burgiu era spesso molto elevato e non doveva quindi presentare problemi di staticità.
Le fasi del lavoro erano le seguenti:
1 - Trasporto del fieno o della paglia dai campi e dall'aia con grandi reti di corda a maglia larga, i rutuna, trasportati a dorso di mulo.
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Trasporto di paglia a dorso di mulo. Fotogramma dal cortometraggio Parabola d'oro
Le reti piene, oltre ad essere ingombranti, erano molto pesanti. Nella foto qui sotto vediamo Mastu Giseppi col rutuni sulle spalle, e il tradizionale fazzoletto per proteggersi la testa dal sole cocente (foto gentilmente concessa da Mario Sabatino).
Occorreva robustezza di braccia e accortezza nel caricarle, equilibrandole in modo che lungo il percorso, col movimento su piste accidentate, non mutassero forma, presentando spuntoni e provocando fastidi al mulo, già nervoso per il carico pesante e per il caldo soffocante.
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Museo Civico di Petralia Soprana |
2 - Scarico sul luogo dove doveva sorgere u burgiu in prossimità della zona di utilizzo, stalla o pagliaio.
3 - Preparazione della base con strato di pietrame o altro materiale capace di evitare risalite di umidità dal suolo.
4 - Stratificazione del materiale con l'aiuto dei tridenti. Man mano che l'altezza cresceva, si rendeva necessario un uomo a terra che, sempre con il tridente, porgeva la paglia o il fieno a chi, in cima al burgiu, operava sul materiale già sistemato, dando via via forma alla struttura. Era ovviamente esposto a pericolo di cadute.
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da Parabola d'oro
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5 - Preparazione dell'impasto di acqua e argilla che doveva servire a ricoprire il mucchio per impermeabilizzarlo. L'acqua veniva trasportata a dorso di mulo (4 lancedde da litri 12 circa cadauna per animale) dalle sorgive alla masseria. L'argilla era invece quasi sempre disponibile sul posto.
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Lancedda e lanciddaru |
Collezione Scelfo
6 - Infine si procedeva alla distribuzione dell'impasto sul burgiu, e le operazioni si chiudevano con una preghiera per scongiurare qualche improvviso temporale.
Vi era poi una differente tecnica di copertura tra paglia e fieno.
U burgiu da paglia veniva "'ncritatu" (terreno impastato con la paglia e spalmato sopra tutta la superficie del burgiu, fango che rappresosi diveniva un rivestimento impermeabile che proteggeva dalle piogge la paglia). La parte superiore di copertura veniva ovalizzata, mentre i fianchi, la parte anteriore e posteriore erano leggermente obliqui per far scivolare l'acqua.
U burgiu du fienu veniva invece formato come il prospetto di una casa con il tetto a due spioventi che venivano ricoperti con fascine di "mitardu" un'erba palustre impermeabile, in modo che una ricoprisse l'altra come le tegole, e queste fascine venivano fissate con chiaveddi di steli del finocchio selvatico piegati in due a mo' di forcine per capelli, le cui gambe appuntite venivano infisse in profondità nel corpo del burgiu in modo che il vento non le portasse via.
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U mitardu Foto di Peppino La Placa |
E di tutte queste tecniche così specifiche, non ci è rimasto oggi che l'uso estensivo nel nostro dialetto del verbo abburgiari...
Ringraziamenti ad Ernesto Messineo e Vincenzo Di Gangi
Cenni bibliografici
Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone-Marino
Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Volume 14 p. 273, L. P. Lauriel, 1895
M. T. Alleruzzo Di Maggio, La dimora rurale nelle Madonie in "La casa rurale nella Sicilia occidentale", Leo S. Olshki editore, Firenze, 1968
Parabola d'oro, cortometraggio di Vittorio De Seta 1955
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