CASTEL BELICI

 



Belìci sorge su un massiccio rilievo arenario a quota 499 m. sul livello del mare, e prende il nome dal torrente che corre ai suoi piedi. Ricade in territorio di Petralia Sottana ma occupa una posizione centrale in relazione a diversi altri comuni (Marianopoli, Villalba, Santa Caterina Villarmosa, Resuttano, Vallelunga Pratameno, Castellana Sicula e Valledolmo), sul confine di due province (Caltanissetta e Palermo) e di due diocesi (Caltanissetta e Cefalù).

Non è certo da dove provenga il nome. Al Idrisi parla del fiume Belice del Trapanese, indicandolo come Balg e Balgn, ma non menziona il torrente delle Madonie. Nei diplomi latini del 1200 si trova trascritto nei modi seguenti: Belich, Belichi.



Il torrente Belìci

Il torrente dei Palìci

Secondo lo storico dell'arte Guido Macaluso, si tratterebbe di una deformazione del nome greco Παλικοί, palìco al singolare, proprio di due divinità gemelle della Sicilia arcaica, legate alle acque, acquisite poi anche dalla mitologia greca e romana. Diedero il nome alla città di Paliké, vicino Mineo. 


I Palici

Dagli studi emerge infatti che il nome originario sicano dei gemelli possa essere stato Balìci nel senso di “signori”, e che in seguito al fenomeno della rotazione consonantica, la consonante bilabiale sonora B possa essersi successivamente trasformata nella corrispettiva sorda P. 


Gorgo Pollicino (Petralia Soprana)

A questo originario nome dei Palìci o Balìci dovrebbero farsi risalire il nome di vari fiumi o laghi, oltre al nostro: intanto il fiume Belice del Trapanese ma anche, nelle Madonie, il Gorgo Pollicino (Gorgo Pelicino) presso il pianoro del monte Savochella, nei pressi di Petralia Soprana.


Belìci all'epoca attuale.

Quando venne costruito il castello?

Secondo gli storici del 1700 Christian Gottlieb Reichard e Richard Parthey, il sito sarebbe stato fortificato già in Antichità e corrisponderebbe a Castra Piciniana, dal nome della statio picinianis (e della relativa strada romana), indicata nell'Itinerarium Antonini, recepito dal Cluverio nel suo Sicilia Antiqua. Di questa strada è d'altronde ancora imprecisa l'ubicazione. Lo Schmettau, per esempio, la situa invece in zona di Comitini.


Alcuni ritengono probabile che l'edificio originario sia sorto come semplice mansio rustica, cioè come una masseria, e che successivamente, in periodi di assalti e depredazioni, sia stata fortificata dai signori che la possedevano. Però va osservato che nei documenti medioevali, Bilìci viene indicato specificamente come castrum sin dal 1271. Nei vari passaggi di investitura, troviamo indicato il feudo nel 1354  "cum turri seu fortilicio et habitacione" e nel 1392 , "cum suo castro".

La maggior parte degli edifici oggi in uso è frutto di riedificazione. E i ruderi presenti non consentono di risalire al primo edificio, inglobato in ricostruzioni e aggiunte, nel corso dei secoli. 



Ruderi della parte più antica del "castello".

La baronìa di Belìci

Nel Settecento, Vito Amico scrive che Bilìci (Belicis arx) è castello e signoria molto vasta, perché contenente ben dodici feudi molto grandi. Ed infatti comprendeva, oltre a Castel Bilici, Torre di Bilici, Manchi, Tudia, Chibbò, Vicaretto, Chiapparia, Timparossa, Carisi, Mucini, Landro e Barbarigo.


Belìci al centro della Sicilia granaria.


Ma procediamo con ordine: il primo documento risale al 1271. Il feudo Bilìci, detto anche Billitto, è menzionato come parte della contea di Geraci, uno fra i tanti feudi granari di Enrico Ventimiglia, che era anche Signore delle due Petralie. 
Dopo la ribellione di Enrico e la sua caduta in disgrazia, il castello e la signoria, con privilegio del 24 luglio 1271 vengono confiscati e assegnati a Simone di Monforte, per poi tornare all'erede dei Ventimiglia, dopo il perdono regio.



Nel 1354, Emanuele Ventimiglia, Conte di Geraci dona al fratello Francesco sia le Petralie che Bilìci, che entrano così a far parte della neo-costituita contea di Collesano.
Diviene baronìa e perviene poi nel secolo XV a Errico Russo, poi ai Cardona e finalmente ai Montecatino, sempre come parte della contea di Collesano.

I Cardona
Tuttora è visibile sul sito lo stemma dei Cardona, una pianta di cardo radicata con tre fiori, che seppure non molto leggibile, corrisponde a quelli presenti sia in Catalogna che nelle due Petralie.




Stemmi dei Cardona in Sicilia e in Catalogna
da sinistra, Petralia Sottana, Petralia Soprana e Cardona (città catalana)


Da sempre il sito è stato un importantissimo centro di produzione cerealicola. Da dove l'interesse dei feudatari ad effettuare migliorie ed ampliamenti alla Massiria Billisii
Nel suo "De Rebus Siculis" del 1557, Tomaso Fazello riferisce che nel 1552, Susanna Gonzaga, vedova del Conte di Collesano Pietro Cardona, diede incarico a dei muratori, Bartolo da Petraglia, Artalo, Curzio, e Niccolò da Camerata, di realizzare dei granai nei pressi di Petralia Sottana, "in agro Bilicino", cioè appunto in territorio di Bilìci. Si trattava di scavare delle fosse granarie, cioè dei granai interrati per custodirvi adeguatamente il raccolto. 


Il magazzino soprastante i granai in una foto di diversi anni fa.


Nel corso dei lavori, i muratori trovarono molte sepolture di giganti, chiuse con pietre quadre, al cui interno vennero trovati corpi umani, i quali superavano gli otto cubiti di lunghezza (cioè i quattro metri).
Per un approfondimento su questa sensazionale scoperta del Cinquecento, rimandiamo al post SULLE ORME DEI GIGANTI in questo stesso blog.


Questa apertura ove i visitatori usano gettare monetine,
 è l'accesso ad uno dei granai di Susanna Gonzaga


I granai di Susanna Gonzaga esistono tuttora. Si tratta di silos scavati sotto terra a forma di tronco di cono o di campana. Nel Medio Evo e nel Rinascimento, venivano utilizzati in tutta Italia per la conservazione del grano, sigillati in modo tale che con l’anidride carbonica non potessero sopravvivere all’interno tarli o topi. Il frumento poteva esservi conservato in perfette condizioni fino a tre anni.
Si trovano in corrispondenza dell'attuale cortile e sotto il pavimento della sala ad archi che probabilmente fungeva a magazzino.




I Moncada
Nel 1577 Belìci viene poi annesso per via matrimoniale al patrimonio di casa Moncada, insieme a tutti gli altri feudi del comprensorio madonita.
I nuovi feudatari continuarono ad apportare migliorie. L'archivio dei principi Moncada di Paternò, depositato nell'Archivio di Stato di Palermo, documenta l'amministrazione anche di Bilìci. In un atto del 1612, si attesta la presenza di un fondaco fatto «fabricare et construere dalli appedamenti» dalla principessa Aragona, e si dispongono nuovi lavori da parte di Pietro Tozzo, intagliatore lapideo di origine napoletana, che aveva pianta stabile nelle Petralie, ove operò per anni. 
Il termine fondaco a quell'epoca aveva il senso di magazzino, deposito merci.

Questi "gattoni" in pietra seicenteschi
sono forse stati scolpiti da Pietro Tozzo

Il Santuario

A partire dal 1600, il sito prende nuova vita per la creazione del Santuario ove tuttora si adora U Signuruzzu di Bilìci. Non esistono notizie certe dell'origine del culto. Sicuramente nel XVII secolo, esisteva, come nella generalità dei siti dello stesso genere, masserie o residenze nobiliari, una chiesetta, la quale, forse nello stesso secolo, divenne meta di pellegrinaggio. Si dice che Belìci ospitò una comunità di francescani dipendente dal convento dei Frati Minori di Petralia Soprana, che era stato creato nel 1611.



Il Crocefisso

Presso il santuario è custodito un Crocefisso di pregevole fattura alto 1.70 m, oggetto di varie narrazioni molto fantasiose, che continuano tuttora a venire diffuse sui media, nonostante la loro incongruenza storica.
Si racconta in particolare che nel 1638 la Duchessa Maria Ferrandina Alvarez lo abbia avuto in dono dal guardiano del convento di Petralia Soprana, tale Michelangelo La Placa, e che il 3/5/1645 lo abbia esposto nella cappella nobiliare a 2 navate, dedicata a S. Maria degli Angeli, cappella che venne aperta ai fedeli. Proprio tale giorno dell’anno è tuttora quello della festa del Signuri di Bilìci.

Il Crocefisso di ignoto autore
 XVII secolo


Quanto al suo autore, si tramanda di tale "Vanni Calabrisi" che si identificherebbe con Frate Innocenzo da Petralia.
Si tratta di racconti affascinanti, in quanto espressione della tradizionale devozione di secoli, ma purtroppo privi di fondamento.
A prescindere dall'evidente incompatibilità di stile fra il Crocefisso e le altre opere di Frate Innocenzo da Petralia, e senza volersi addentrare nei particolari della fiabesca vicenda dello scultore di nome "Vanni Calabrisi", persino il ruolo della duchessa è storicamente impossibile, dato che la stessa visse in realtà circa due secoli dopo. Il nome di Ferrandina compare nelle Madonie solo a partire dal 1713 e la duchessa Maria morì nell'Ottocento.


Gli ex voto.

Col tempo i signori abbandonarono il castello e i francesca­ni il convento, mentre la fede ha sostenuto il Santuario, costante meta di pellegrinaggi. Come ricorda una lapide, sui resti della vecchia cappella, venne edificato un nuovo santuario nell'area perimetrale antica dal gabellotto Don Nicolò Audino nel 1871. 
L'affluenza dei fedeli è grande soprattutto nella buona stagione, a partire dal 3 maggio, giorno della festa, poi in occasione dell'Assunzione e sino ad oltre il 14 settembre. 
Pur ricadendo in territorio di Petralia Sottana, il responsabile del santuario è il parroco di Marianopoli (Diocesi di Caltanissetta).


La processione anni fa
prima della ristrutturazione del Santuario 


La fine della baronia

Nel XIX secolo le terre si dissociarono dal titolo e vennero parcellizzate. Gli ultimi baroni di Castel Belice furono i Consiglio di Sciacca. Per quanto riguarda il castello, fu infine Giuseppe Lanza Florio, Principe di Scordìa, a vendere i ruderi del fortilizio-masseria, il santuario e una salma di terra a sei agricoltori di Marianopoli, con l'obbligo di festeggiare il SS.mo Crocifisso.

  
Un pentacolo inciso

I misteriosi graffiti
Di recente sono stati evidenziati, nella grande sala ad archi del santuario, numerosi graffiti di notevole interesse, lasciati nel corso di più secoli. I più antichi risalgono al XIV secolo, cioè ad un'epoca antecedente a quella che tradizionalmente è collegata all'apertura della cappella ai fedeli per il culto del Crocefisso (1645).


Un graffito che rappresenta forse
l'originaria struttura del Santuario.

Molti dei segni più elementari (serie di asticelle) e le numerose cifre incise, oltre alle iniziali e ad alcuni nomi, anche arabi, possono trovare una spiegazione in conteggi relativi ai cereali custoditi nei granai nel magazzino. Anche se i numeri sono in maggioranza di quattro cifre, di cui la prima è sempre la cifra 1, compatibili quindi con delle date. Inoltre, il fatto che le incisioni non siano meri "appunti" di lavoro, sembra dimostrato dalla presenza, fra le incisioni, di pentacoli, calici e di una "triplice cinta", traccia iniziatica la cui origine si perde nella notte dei tempi, e adottata da varie religioni.


Croce greca trilobata
rinvenuta a Bilìci


Un ultimo reperto che ha suscitato parecchi interrogativi è una croce in pietra rinvenuta nel 1980 nel corso dei lavori di ristrutturazione del santuario.
Si tratta di un esemplare non solito in Sicilia, trattandosi di una croce greca, cioè con bracci di eguale lunghezza, e pure trilobati, come i trifogli.
C'è chi ha visto un collegamento con la croce greca dei Templari, i cui bracci terminano però solitamente con due punte curve divergenti. Una croce di questo tipo è stata adottata dall'Ordine di S. Maurizio, proprio dei Savoia, che con Bilìci ha poco a che fare. In compenso però la ritroviamo anche nella famiglia Gonzaga.


Monete riferibili al casato dei Gonzaga
Tratte dal sito LaMoneta.it

Questa ipotesi non esclude la prima, specie se ricordiamo una figura prossima a Susanna Gonzaga, quella di suo "nipote" Ferrante Gonzaga (figlio di suo cugino), che oltre ad essere stato Viceré di Sicilia dal 1535 al 1546, fu Gran Maestro del Priorato di Sion. Ferrante era in buoni rapporti con lei tanto da sostenerla nell'affare della vendita della baronia di Naso. E' mai venuto a Bilìci? E qui la fantasia ci spinge lontano...

In ogni caso Bilìci è certamente un luogo che parla all'anima, pervaso da un'intensa aura, suggestivo sia per la storia che ha visto fluire, per i miti e leggende che ha ispirato, che per la fede dei pellegrini che nei secoli lo hanno affollato.  






Ringraziamenti a Pietro Cassaniti e Arcangelo Vullo





Cenni bibliografici

- Filippo Cluverio, Sicilia antiqua, 1619  

- C. T. Reichard , Orbi terrarum antiquus cum thesauro topographico, Norimberga, 1824

- L. Immordini, Il SS . Crocifisso venerato nell'ex-feudo di Castel Belici, Esposito, Villalba 1959

- Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619) in Quaderni Mediterranea 

- Giuseppe Giugno, Architetti e maestranze negli Stati feudali dei Moncada, spigolature d'archivio sul comprensorio madonita, Arte e storia delle Madonie Studi per Nico Marino Voll. IV–V, 2014

- R. Termotto, Architetti e intagliatori nelle Madonie tra Cinquecento e Seicento: nuove acquisizioni su Ferdinando Chichi e Pietro Tozzo in «Lexicon Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo», 9, 2009, p. 71

- F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni, 1923: lavoro compilato su documenti ed atti ufficiali e legali, vol. IX, Scuola tip. Boccone del povero, Palermo 1940, Quadro 1564, pp. 389-393 

- AA.VV., Castelli Medievali di Sicilia, Scheda su Bilìci, pag. 292, Palermo 2001

- Canta Carmelina Chiara, Roberto Cipriani, Angelo Turchini, Il viaggio. Pellegrinaggio e culto del Crocifisso nella Sicilia centrale. Lu Signuri di Bilìci, Sciascia, 1999

- Guido Macaluso, Belice, il Crocefisso, lo Scultore, in  AA. VV. Il Santuario Signore di Belìci, 1996

- Carmelo Montagna, Graffiti antichi a Castel Bilìci. Figure, simboli, date ed incisioni scoperti sull’intonaco del salone ad archi in Galleria n. 4 Gennaio-Aprile 2022



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