Le vigne di ZORBA
Zorba, in territorio di Madonnuzza, frazione di Petralia Soprana, è un colle che si erge fra Salaci e Fasanò. Il suo nome evoca le piante di sorbo che in tempi remoti evidentemente vi abbondavano e che vi si trovano tuttora. Già nel Rinascimento viene menzionata nei documenti ufficiali come contrada "Sorba", facente parte dei feudi del Signore delle Petralie.
Zorba nel catasto borbonico |
Ma la predisposizione del colle fu da sempre la coltivazione della vite da vino, come risulta dai riveli del '500 e '600 della famiglia stessa di Frate Umile da Petralia Soprana.
Infatti, nel 1586 e nel 1607 il padre del futuro scultore, Giovan Francesco Pintorno, dichiara la proprietà di una vigna nella contrada della Sorba... di doi migliara con arbori domestichi, del valore di venti onze, confinante con altre due vigne (terreno che alla sua morte, verrà poi ereditato dalla sua vedova e poi da sua figlia). Girolamo Bongiorno, nonno materno del futuro scultore, possiede anche egli nella contrada di Lasorva una vigna del valore di quindici onze.
Frate Umile da Petralia Biblioteca Comunale di Palermo |
Però passeggiando oggi per questi pendii scoscesi ed incolti, non si ritrovano che scarsissimi tralci residui, che si confondono con la vegetazione spontanea che ha preso il sopravvento.
Ci spiega Calogero d'Alberti, proprietario di Casa dei Salici, un antico casale aperto all'ospitalità turistica, in cui da anni svolge attività di permacultura:
Sul limite sud della collina di Zorba vi è una balza di roccia calcarea, la stessa pietra con cui è costruita gran parte degli antichi edifici delle nostre zone. Fino ad alcuni decenni or sono, ai limiti est (verso Raffo) e ovest (verso Fasanò) erano attive due cave per l’estrazione della pietra. Il panorama è amplissimo sulle vallate verso sud con i borghi e le coltivazioni di grano e foraggio.
Ricavato dalla roccia sul lato nord della balza, si trova un piccolo palmento ancora ben riconoscibile, con la vasca per la pigiatura e quella sottostante per la raccolta del mosto.
È una testimonianza della vocazione della collina alla coltivazione della vite da vino. Sulla stessa collina nella zona nord esistono ancora due palmenti, uno in casa mia, ora riutilizzato come zona cucina, e un altro sino a pochi anni fa ancora attivo, ai limiti del nuovo abitato di Madonnuzza. Altri segni della produzione di vino sono le viti selvatiche sparse un po ovunque, i tralci rinsecchiti delle vecchie viti innestate e la destinazione catastale, che per molte delle particelle continua ad essere di “vigneto”.
In effetti solo una piccola vigna resiste ancora coltivata. È confinante con il mio terreno ed è appartenuta ad un signore di Raffo detto cuoddu di ficu che spesso, quando discorrevamo durante i suoi lavori in vigna, mi raccontava la sua epopea della guerra di Russia e della catastrofica ritirata. Ancora piangeva ricordando come per salvarsi la vita, fosse stato costretto ad abbandonare nella neve a morire commilitoni e amici.
Sulla collina il bosco di querce sta lentamente riconquistando gli antichi vigneti ed è molto interessante osservare con quali processi lo stia facendo, come esempio della capacità rigenerativa della natura lasciata a se stessa. D’altra parte l’antica saggezza contadina recitava miegghiu tirrenu ripusatu ca tirrenu vantatu. Gli anziani sapevano che, per la fertilità del suolo, la natura è rigenerativa e l’agricoltura è degenerativa, e si comportavano di conseguenza. L’agricoltura convenzionale contemporanea ha dimenticato questo, sostituendo i meccanismi naturali con la chimica. Per un po' l’illusione ha funzionato, ma ora contiamo i danni.
I palmenti rupestri
Nelle campagne circostanti Petralia Soprana ci si imbatte ancora oggi in vari palmenti rupestri, come per esempio a Salinella o nelle immediate vicinanze di Villa Sgadari, oppure nella vallata dell'Imera meridionale, tra Blufi e Castellana Sicula, all'interno di una grande grotta anch'essa scavata dall'uomo. In tempi remoti, risultava conveniente sfruttare, in diretta prossimità delle vigne, i massi di pietra isolati per poter procedere almeno alla pigiatura e ad una prima fermentazione del mosto sul posto.
Solitamente venivano scelti blocchi di arenaria, ma quello di Zorba è scavato nella roccia calcarea, che è facilmente lavorabile e più impermeabile.
Venivano scavate due vasche comunicanti tra loro da un foro. Il mosto pigiato nella vasca più elevata defluiva nella vasca inferiore, filtrato da una cartedda, appesa al canale di scolo, e poi veniva raccolto e trasportato a mezzo di utri in cantina. Ivi i residui venivano poi torchiati per ottenere ancora un poco di mosto. Il pendio su cui insiste il masso roccioso è molto ripido e proprio questa pendenza ha permesso una quota ben differenziata delle due vasche, atta a facilitare il travaso da una all’altra.
È difficile valutare la possibile età del palmento di Zorba. Molto probabilmente ai tempi di Frate Umile, il palmento esisteva già. Ma ancor prima del Rinascimento, la zona era occupata da secoli, considerando che nella vicina Salaci sono stati ritrovati una brocchetta bizantina o araba e frammenti di vasi analoghi.
Le vasche a quota differenziata viste dall'alto |
La assenza di tracce di fori fa escludere che vi fosse installato un torchio. Le operazioni di torchiatura avvenivano quindi in altro luogo, verosimilmente al coperto. Si può ipotizzare che la cavità servisse da ripostiglio per arnesi e fosse munita di una copertura. Altra particolarità sono i gradini che permettono un più facile avvicinamento alla vasca più bassa.
L'intera antica zona viticola di Zorba si trova in ripida pendenza. Giungere al palmento e fotografarlo ha richiesto di inerpicarsi con attenzione. Probabilmente erano state realizzate strutture lignee, come passerelle, per un più comodo uso da parte di coloro che dovevano scaricare le ceste con il carico d'uva in una vasca e caricare le otri dall'altra, per trasportarle al locale ove avveniva la torchiatura.
Si stenta ad immaginare al giorno d'oggi l'immane fatica fisica rappresentata dal gestire la vendemmia in queste condizioni. Una giornata di lavoro veniva retribuita con poco più del cibo quotidiano.
Rilievo antico raffigurante la pigiatura dell'uva in un palmento in pietra |
La fillossera
È di interesse il fatto che i tralci di Zorba sopravvissuti all'abbandono siano probabilmente a piede franco, cioè privi di innesto.
Qui si impone un inciso su di un flagello che circa duecento anni fa distrusse le vigne dell'intera Europa: la fillossera della vite, che attaccando in modo silente le radici di conduzione della pianta, la portava molto velocemente alla morte. Questo parassita giunse nel nostro continente durante la prima metà dell’Ottocento, con le barbatelle di varietà di vite americana introdotte per contrastare importanti infezioni di oidio, e ben presto, mise a rischio l'intero patrimonio viticolo europeo.
Il rimedio si trovò facendo un innesto fra parte radicale (portainnesto) di alcune varietà di vite americana resistente all’attacco della fillossera, e parte aerea di vite europea.
Ora, a Zorba i tralci rimasti appaiono piante non innestate, che sono però sopravvissute alla fillossera. Due possono essere le ipotesi, che siano effettivamente "a piede franco", oppure che si tratti di talee che comunque si stanno rivelando resistenti all'insetto.
Per il resto, a Zorba la flora si è mantenuta sostanzialmente costante negli ultimi secoli. Lo deduciamo da un articolo del 1905, Flora dei Monti Madonie, pubblicato sul "Nuovo Giornale Botanico Italiano", ove troviamo pazientemente catalogate le piante medicinali e non, all'epoca esistenti presso il colle Sorba, piante che risultano tuttora comuni nella contrada.
Il pozzo
In cima al colle si erge solitario un vecchio pozzo coperto da una caratteristica struttura a cupola appiattita in muratura, realizzata in pietra lasciata a vista. Un modello simile si ritrova a Saccù, ed altro di forma più tondeggiante a Salinella. Nella parte verticale della muratura è collocata una porticina chiudibile che serve sia per inibire agli estranei l'attingimento dell'acqua, che per ragioni di sicurezza.
Il vecchio pozzo |
Mario Sabatino ricorda anche una pietraia sita in cima al colle ove si sfruttavano i ciotoli della grossezza di un pugno per la lavorazione delle strade: i cuticchia da Sorva.
Casa dei Salici
Sei ettari di biodiversità, un vecchio casale con palmento sul limitare del bosco di querce. Condotta come una antica masseria tendente all’autosufficienza, grazie a una rete locale e sinergie variegate, Casa dei salici sviluppa tre progetti uniti dalla visione organica che si realizza nella permacultura: ospitalità, autoproduzioni, fertilità.
Ridiamo la parola al suo proprietario Calogero d'Alberti :
È stata acquistata nel ‘79 dal sig. Macaluso, detto Il mago per certe sue pratiche alchemiche di cui ho trovato tracce nella casa, e marito della signora Fucà, nostra terribile maestra elementare. Io e i miei compagni di giochi di Madonnuzza conoscevamo bene la casa, perché si trovava lungo il viottolo che portava al bosco di querce, uno dei nostri migliori parchi gioco. Nel bosco, la presenza di un viburno lianoso che saliva sugli alberi, ci permetteva di giocare a Tarzan, che allora era in gran voga.
Il palmento, anche se non usato da tempo, era ancora completo di torchi e varie attrezzature. Adesso, mantenendo la sua struttura in pietra, è diventato lo spazio cucina.
Un atto del 1830 circa attesta che la casa in quell'epoca venne acquistata da un certo Abatuzzu, probabilmente un soprannome, e che già allora, al piano terra esisteva il palmento.
Bibliografia
Giacomo Albo, Flora dei monti Madonie, in Nuovo Giornale Botanico Italiano, 1905
Guido Macaluso, Frate Umile Pintorno da Petralia Soprana scultore del secolo XVII, in Archivio storico siciliano, XVII vol., 1982, pp. 147-216
Gaetano Messineo, Petralia Superior, in "Orizzonti" Rassegna di archeologia XI, 2010
Ringraziamenti a Calogero d'Alberti, Pietro Cassaniti, Gaetano G. La Placa e Mario Sabatino |
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