La SAGRESTIA di S. Maria di Loreto




Nella seconda metà del Settecento, l'architettura sacra visse a Petralia Soprana un periodo di particolare splendore. Molte furono le chiese oggetto di completo rifacimento. Per primo, nel 1750, con particolare dovizia di mezzi, si aprì il cantiere di S. Maria di Loreto, che in una trentina d'anni, rivoluzionando pianta, campanili e prospetti, diede all'edificio originario di epoca medievale il suo aspetto attuale.


Facciata di S. Maria di Loreto

Nella stessa epoca fu realizzata anche la sagrestia, in accordo perfetto con il nuovo stile della chiesa, per volere del Rev. Giulio Velardi, restauratore di diversi edifici ecclesiastici del tempo, di cui possiamo vedere l'effigie all'ingresso.




La sagrestia è stata concepita come un ampio salone bianco e luminoso, decorato in modo leggero con stucchi dorati.
Al bianco è associato il colore verde, che ritorna negli infissi, nelle porte, nella pavimentazione e nella mobilia.

Foto del 2006

Lo spazio è scandito da un ciclo di sedici affreschi raffiguranti i principali santi, opera di Giuseppe Di Garbo (1742-1814).
Nel corso della sua carriera questo pittore castelbuonese autodidatta e molto fecondo, aveva prodotto tele di argomento sacro sia a Castelbuono che in altri centri delle Madonie. Sono opera sua gli affreschi della Chiesa Madre di Termini Imerese e la tela della Trasfigurazione all'archivio storico di Geraci Siculo.
In uno degli affreschi della sagrestia troviamo un riferimento cronologico preciso :
"JOSEPH GARBO CASTRIBON PINXIT AN. DNI 1783".
Questi affreschi, così come l'intera decorazione interna, sono espressione dello stile rocaille, proprio della seconda metà del XVIII secolo, improntato a levità e ad un estetismo fine a se stesso, elegante ma svuotato di forza espressiva, specchio dei gusti della nobiltà di quell'epoca. Per i santi rappresentati, pur richiamandosi all'iconografia tradizionale, il Di Garbo predilige i colori pastello, le delicate espressioni dei volti ed aristocratiche movenze.

S. Margherita

I sedici dipinti, tutti delineati da una cornice dorata con elementi vegetali e lievi arabeschi floreali, si aprono come altrettante finestre su di un mondo di bellezza distaccata. I volti sono improntati ad un eterea compostezza, e i gesti, ad un elegante formalismo.
S. Stefano protomartire è raffigurato, in prevalenti tonalità di rosso e azzurro,  mentre mostra i sassi della sua lapidazione. 
S. Margherita d'Antiochia con un libro e la palma del martirio, tiene ai suoi piedi il Drago sottomesso.

S. Raffaele Arcangelo

Quattro degli affreschi sono dedicati agli Arcangeli ed Angeli: S. Michele è raffigurato mentre alza la spada su Lucifero, l'arcangelo Gabriele, mentre regge un giglio e indica il cielo. 
In un paesaggio di particolare delicatezza cromatica, l'Arcangelo Raffaele, nell'accompagnare il giovane Tobiolo nel suo viaggio, lo mette in guardia dal pesce che stava per morderlo.
Infine l'angelo custode protegge un bambino dalle fiamme, scacciandole con una croce, e fa mossa di portarlo in cielo.

S. Barbara

S. Barbara è raffigurata mentre regge un calice ed indica ad un morente un altare con un Crocifisso. Nello sfondo alcuni putti, di cui uno tiene la torre, simbolo della Santa. La posa aggraziata, l'espressione benevolmente distaccata e la particolare delicatezza della mano con il calice, richiamano i raffinati ritratti degli aristocratici dell'epoca.
S. Giovanni Battista, come da iconografia tradizionale, è raffigurato con la croce e l'agnello.
S. Orsola. in una chiara policromia dominata da rossi e azzurri, appare in vesti regali, con una freccia e una bandiera.


S. Sebastiano

Secondo la consueta iconografia, S. Sebastiano è ritratto durante il supplizio, legato ad un albero e trafitto da frecce. Anche in questo caso, il morbido abbandono della posa e la delicatezza cromatica della natura raffigurata nello sfondo forniscono una visione edulcorata, ben lontana dal realismo e dalla plasticità ricca di contrasti del Barocco, così come dall'austerità del Rinascimento.


S. Caterina

S. Giovanni Battista secondo l'iconografia tradizionale, è raffigurato mentre regge la croce e l'agnello.
In una chiara policromia dominata da rossi e azzurri, Sant'Orsola è raffigurata in vesti regali, mentre regge una freccia e una bandiera. S. Agata indica un piatto con il seno strappatole nel martirio.
S. Caterina in una armonia di colori celesti,  reggendo la palma del martirio, benedice un sacerdote.
S. Giovanni Evangelista porge al cielo, dove due puttini reggono un calice, la palma del martirio, mentre ai suoi piedi si vede l'aquila simbolica.
Anche qui tutto è improntato a delicatezza: i tenui accordi del paesaggio e delle vesti, la dolcezza dei lineamenti del santo e la gioiosa serenità dei putti.



S. Lucia è raffigurata, secondo la tradizionale iconografia, con la palma del martirio e un piatto con gli occhi strappati, trafitta al collo da uno stiletto.
S. Cecilia patrona della musica, suona un organo.
S. Agnese è raffigurata mentre, reggendo la palma del martirio e l'agnello divino, offre al cielo la corona.


Una delle porte in stile rococò

La volta della sagrestia è ornata da tre affreschi opera di Domenico Di Manzo, allievo del pittore palermitano Vito D'Anna (1718-1769). Nell'iscrizione in basso, nel cartiglio, si legge: DOM. CUS MANZO PANOR. PIX. ANNO D. 1780.


Humilitas
Domenico Manzo 1780

Nel riquadro centrale, troviamo L'Assunzione della Vergine.
Da una parte e dall'altra, due affreschi simmetrici rappresentano due figure femminili, le allegorie dell'Umiltà e della Purezza, Humilitas, che si appoggia al globo e regge uno scettro e Puritas, che regge un giglio e una corona.



Sempre in accordo con lo stile rocaille, che privilegiava i giardini d'inverno e l'evocazione di una natura lieve e scapigliata, le pareti sono adornate da quattro pitture di autore ignoto raffiguranti vasi floreali.

L'intera parete di fondo della sagrestia è occupata da un monumentale armadio in legno prodotto alla fine del Settecento, che venne introdotto per ultimo nella decorazione, tanto da venire a ricoprire, per la sua mole, due degli affreschi del Di Garbo. S. Agata e S. Lucia sono quasi interamente nascoste



L'opera, attribuita a Franco Li Pira, è della stessa epoca e dello stesso stile dell'armadio della sagrestia della chiesa di S. Salvatore, con decorazione inspirata all'Apostolato.
Risulta ripartito in più livelli: nella parte bassa, un bancone ripartito da paraste in sei stipi distinti. Sopra il bancone, un livello superiore composto da sei ante, al centro di ognuna delle quali è scolpito in bassorilievo il ritratto di un apostolo.
La notevole altezza del mobile è sottolineata dalle linee verticali delle sei colonne tortili che sostengono una cornice marcapiano, e poi all'ultimo livello, la balaustra. Ivi spicca, in posizione centrale, evidenziato da una cornice frastagliata, un dipinto ovale di autore ignoto, aggiunto nel XX secolo, che  ritrae l'Addolorata con in mano il cartiglio della Croce.




Gli intricati e finissimi intagli in  stile rococò  dimostrano non solo l'elevata perizia delle maestranze artigiane di Petralia Soprana, ma il loro aggiornamento alle mode dell'epoca.




Di grande impatto decorativo è la serie di otto cassapanche con schienale, in legno dipinto, di due diverse misure, risalenti anch'esse all'epoca di costruzione della sagrestia. Molto particolari nel loro genere, accoppiano la tipica bombatura dei mobili di quell'epoca, al tripudio di volute della spalliera, con una decorazione particolare ad imitazione di panneggi di stoffa. Al centro dello schienale è dipinto un medaglione con fiori o con figure di angeli.


Cassapanca lignea con schienale

Le mattonelle in bianco, verde e giallo, ornate da semplici motivi decorativi come la treccia e la campanula, sono un esempio della produzione dei ceramisti di Collesano, i quali, nel secolo XVIII, continuavano a realizzare pavimentazioni, nonostante la concorrenza dei ceramisti di Napoli e Vietri. Agli stessi artigiani si deve anche il rivestimento in maiolica policroma delle cuspidi dei due campanili della chiesa. 


Mattonelle in ceramica di Collesano


Un accessorio tipico delle sagrestie era il lavamani in pietra, qui costituito da una vasca, in forma di conchiglia stilizzata, sormontata da una lastra curvilinea con timpano ricurvo.




Un sentito ringraziamento a Don Calogero Falcone



Note bibliografiche:


Francesco Ferruzza Sabatino, Cenni storici su Petralia Soprana, Palermo, Pezzino, 1938
- Guido MacalusoPetralia Soprana, Guida alla storia e all'arte, Palermo 1986
- Giovanni Mendola, Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, Palermo 2000
- Salvatore Anselmo, Le Madonie. Guida all'arte. Kalos 2008
- Salvatore Anselmo, Pietro Bencivinni "magister civitatis Politii" e la scultura lignea nelle Madonie, Quaderni dell'OADI, Plumelia 2009
- Maria Reginella, Burnìe e maduni i colori della ceramica,  Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo, Regione Siciliana, Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, 2007


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