VICARETTO

 


Vicaretto è una contrada oggi quasi disabitata, poco distante da Tudia, Villalba e Vallelunga, a pochi kilometri dal Parco delle Madonie. 
La ricostruzione della sua storia plurisecolare è stata però un viaggio sorprendente: dai Ventimiglia alle propaggini della riforma agraria, passando per la clamorosa vendita nel '600 di un ricchissimo complesso baronale ad un abate-imprenditore, e per cupe vicende familiari dell’alta nobiltà, in cui una giovane erede venne sacrificata per ragioni di successione. Sullo sfondo, perfino scontri a fuoco da western e un enigma di fisica legato alla gravità. Ma andiamo con ordine...

Il Feudo
La contrada "Vicaretto" (diminutivo di Vicari o riferimento ad un ignoto ecclesiastico) fu a partire dal Medio Evo un feudo.
Da non confondere con quello omonimo, sito in territorio di Geraci Siculo, occupato da boschi e attraversato dall'omonimo torrente, che faceva parte del Marchesato di Geraci.

Il Vicaretto che ci interessa rientrava invece nell’area della ricca e antica baronia di Belìci, attestata già tra XII e XIII secolo, insieme a Castel Belìci, Manchi, Chibò, Barbarigo, Timparossa, Chiapparia, Landro, Tudia, Carisi e Mucini. Era parte integrante dell’assetto fondiario che strutturava l’alta valle dell’Imera-Salso lungo la grande direttrice interna Palermo–Caltanissetta–Siracusa, che conferiva ai feudi circostanti una duplice funzione: agricola e di controllo della viabilità.

In quella zona erano presenti tre trazzere regie: 
- la prima da Caltanissetta, sfiorando Marianopoli in contrada Serra Mucino, sfocia nella S.P. 112 a circa 2.5 km da Vicaretto, 
- la seconda parte dalla contrada Susafa, attraversa la S.P. 112, presso il bivio Belice a 2,5 km da Vicaretto, e prosegue per Marianopoli dove si interseca presso Serra Mucino, con la trazzera precedente,
- infine la Trazzera Regia Palermo-Catania nel tratto sino alla contrada Passo Mattino, Bivio Alberì, Portella Pero, Tudiotta, borgo Tudia sino alla SS 112.

Vicaretto seguì le vicende della baronia di Bilici, che appartenne alle più potenti famiglie nobiliari dell'epoca:
Dal 1258 ai Ventimiglia, con una breve parentesi nel 1271 (Simon VI de Montfort);
Dal 1444 ai Cardona, conti di Collesano;
Dal 1586 ai Moncada, cui pervenne per via matrimoniale. 



Luigi Guglielmo Moncada

Lo smembramento della baronia di Belici
Negli anni 1634-1635, poiché la baronia era gravata di pesanti debiti, Luigi Guglielmo Moncada, principe di Paternò e duca di Montalto, la suddivise nei suoi vari feudi, che vendette, alcuni singolarmente come Tudia, e altri in blocco: Vicaretto, Chiapparia, Timparossa, Chibbò, e Barbarigo. 
È proprio all'atto di questa frammentazione che Vicaretto compare documentalmente come entità feudale autonoma propria. 
L'acquirente fu l'abate Antonino Castiglione che tirò fuori per l'acquisto ben 72.000 onze, un patrimonio dell'ordine di una dozzina di milioni di euro attuali.
Vero è che egli recuperava così un suo credito di 24.000 onze nei confronti del Moncada.  
Ma chi era questo ecclesiastico maneggiatore di fondi cosi cospicui?

Un abate speculatore
Antonino Castiglione (Cammarata 1590-1648) apparteneva a un'importante famiglia di Cammarata. Dopo studi in teologia fuori dal Regno, divenne abate secolare, cioè senza cura d'anime, e assunse la prestigiosa carica di protonotario apostolico, una figura di alto rango giuridico-sociale, con competenze notarili e amministrative elevate.

Forte delle sue conoscenze altolocate, esercitò per anni la funzione di arrendatario cioè affittuario dei Moncada, gestendo i loro feudi in territorio di Ribera e Caltabellotta. Fra l'altro maturò un ingente credito nei loro confronti.

Va detto che nel '600 e '700 gli abati secolari costituivano una categoria sociale peculiare: di solito figli cadetti di famiglie nobili, cui era stata imposta la carriera ecclesiastica senza vera vocazione religiosa, al solo fine di non dividere il patrimonio.

Approfittando della grave crisi finanziaria dei Moncada, suoi debitori, l'abate Castiglione, da intraprendente uomo d’affari, nel giro di pochi anni,  riuscì ad acquistare personalmente il pacchetto dei 5 feudi della baronia di Belìci (Vicaretto, Timparossa, Chiapparia, Chibbo, Barbarigo),  insieme al titolo di barone di Belìce, seppure senza poter essere investito del titolo, essendo un ecclesiastico. 
Nello stesso periodo, acquistò anche Recattivo, col relativo titolo di barone, ed altri feudi in territorio di Caltabellotta. Però non seppe reggere questo ingente patrimonio. Al momento dell'acquisto dal Moncada i feudi erano gravati di debiti, che Castiglione si era impegnato a pagare, ritrovandosi dopo alcuni anni, nel 1648,  a sua volta, indebitato sino al collo.  

La raccolta di scritti giuridici del Cirillo

Come molti altri ecclesiastici di quell'epoca, l'abate svolgeva vita mondana, tanto che aveva due figli naturali. In punto di morte, nel 1648, cercò di preservare i feudi acquisiti, affidandoli alla Deputazione degli Stati, organo che aveva il compito di salvaguardare i beni fallimentari dei nobili, amministrandoli. Contemporaneamente li lasciò in parte ai suoi due figli, che legittimò nel suo testamento. 
Ne nacque una causa ereditaria avviata dai familiari del Castiglione, durata oltre un decennio.
Tutto questo ci è giunto dagli atti della causa e in particolare dagli scritti difensivi di Giuseppe Pasquale Cirillo, un grande avvocato napoletano dell'epoca, e dai memoriali dei nipoti del Castiglione.

Il figlio Giuseppe Castiglione riuscì finalmente ad ereditare Vicaretto e alcuni feudi di Belìci: li perse parzialmente, li recuperò e poi li vendette a sua volta nel 1660 per procura ai Gravina.

Gli storici, nel valutare la figura dell'intraprendente abate sono incerti se qualificarlo come un abile speculatore, uno sprovveduto amministratore dei suoi beni, un megalomane o un avventuriero…

I Gravina
Nel 1650 all'asta pubblica della Regia Corte Pretoriana di Palermo, con il tramite di tale Rosa Jerace, il feudo di Vicaretto viene comprato da Girolamo Gravina, principe di Gravina.
Alla morte di Girolamo, la figlia primogenita Anna Maria Gravina prese a sua volta l’investitura del feudo nel 1673.


Stemma dei Gravina-Cruyllas


La nascita della baronia di Vicaretto
Al feudo distaccato dalla baronia di Belìci, sede di signoria, nell'investitura chiesta da Girolamo Gravina nel 1662, si collegò un autonomo titolo di barone.
Nella sua analisi giuridico-storica dei rapporti fra i due titoli di signore e di barone, l'araldista Mango di Casalgerardo esamina in particolare il caso di Vicaretto, che si presenta emblematico di una situazione ricorrente a quell'epoca:
Nei secoli VVI e XVII negli atti di investitura accadeva spesso che lo stesso individuo fosse chiamato in relazione ad un singolo feudo, ora “signore di…”, ora “barone di…”, a volte cumulativamente “signore e barone di…”.
In sintesi, il titolo di signore tendeva ad indicare la signoria araldica su un luogo (predicato territoriale) indipendentemente dal possesso reale, mentre, quando era accompagnata dal concreto possesso, comportava automaticamente, senza necessità di un autonomo privilegio, il titolo nobiliare “giuridico” di barone.
Nel 1686 troviamo una donna a portare il titolo di baronessa di Vicaretto, Anna Maria Gravina, ultima erede della famiglia, la quale sposa Giuseppe Valguarnera Graffeo, principe di Valguarnera e Gangi, portandogli in dote Vicaretto ed altri feudi. 

Stemma dei Valguarnera

I Valguarnera 
Il feudo approdò quindi nella famiglia Valguarnera, che lo tenne come signoria e baronia di Vicaretto, associata ai suoi titoli principali (Principe di Valguarnera, di Gravina, ecc.)

Un patrimonio vale più di una bambina
E fu di nuovo una donna, o meglio una bambina, la nipote di Anna Maria, nel 1743, a diventare baronessa di Vicaretto. in quanto figlia ed unica erede di Francesco Saverio Valguarnera, morto nel 1739 senza lasciare figli maschi. 
E mal gliene colse: in ossequio alla rigida regola della salvaguardia del patrimonio del casato, le venne imposto come marito dai suoi stessi familiari il proprio zio paterno dell'età di 49 anni. 
Marianna Valguarnera Branciforte, V principessa di Valguarnera, aveva appena 13 anni ed era sordomuta. Attraverso questa unione, il Valguarnera poté acquisire il possesso dell'enorme patrimonio della famiglia, e ottenere jure uxoris tutti i titoli dei Valguarnera, dei Gravina e dei Grifeo, di cui la nipote era ereditiera.
Dacia Maraini, discendente diretta di Marianna Valguarnera, ha approfondito questa vicenda nel suo romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa, in cui svela un retroscena ancor più truce:  una violenza fatta subire dallo zio già in tenera età, e che sarebbe stata la causa della menomazione della bambina. 


Marianna Valguarnera 

Gli Alliata
All'estinzione della linea maschile dei Valguarnera, nel 1804 è nuovamente una donna a divenire erede di tutti i titoli e possedimenti, compreso Vicaretto: Agata Valguarnera, che con il suo matrimonio con   Giuseppe Alliata porterà l'intero patrimonio alla famiglia Alliata (principi di Villafranca e Valguarnera),  delle quali una delle ultime discendenti è stata Topazia Alliata, madre di Dacia Maraini.


Stemma degli Alliata


IL Settecento
In una "fede" del 1702, i giurati delle due Petralie attestano il rispettivo territorio delle due università, menzionando Vicaretto fra i feudi facenti parte del territorio di Petralia Sottana.
In questo periodo sull’asse Bilìci–Vicaretto si sviluppa un grosso sistema di latifondo cerealicolo-pastorale, con i Fatta del Bosco coinvolti nella gestione/contabilità dei feudi. 
Questa famiglia nobiliare si era legata ai Valguarnera per via delle seconde nozze di Anna Maria Gravina, nonna della Marianna di prima, con Giuseppe del Bosco Sandoval. 

Foto di Piero Ricotta

Nell'archivio della famiglia Fatta del Bosco risulta infatti un fascicolo intitolato "Cautele della baronia di Vicarello” (1717-1745), relativo ad atti su debiti e garanzie legati alle rendite del feudo, ipoteche a favore dei creditori (anche Fatta), proteste e denunce “di cautela”, e transazioni per chiudere o prevenire cause su gabelle, debiti o confini.
Inoltre altro fascicolo riguarda una “causa del feudo di Vicaretto” (1770).
Ma troviamo anche “Gabelle e cautele del feudo di Bilici” (1716-1761) e un “Libro dei frumenti trasportati a Termini da Bilici e Caltavuturo 1753-1765”, che dimostra un flusso strutturato di grano verso Termini Imerese.

Nel 1811 dai riveli di Petralia Sottana  risulta che Vicaretto, appartenente all'epoca al principe Emanuele Valguarnera, producesse un reddito di 1.642 onze. In quel tempo con dieci onze si comprava una casa.
Secondo il bilancio comunale del 1832, Vicaretto è gestito dal barone Fatta e Bonomo. 


Carta di Samuel von Schmettau (1719-21)
Il nord è invertito
Le frecce indicano Vicaretto e Tuzia/Tudia  
(impropriamente denominata La Tusca)

Però non troviamo nessun borgo storico e nessuna grande masseria patrizia. Manca un centro padronale interno al feudo.
D'altronde negli archivi dal XIV secolo, in assenza di casali cioè di agglomerati rurali, negli archivi generalmente il termine feudum indica il latifondo spopolato.
Quindi Vicaretto era un feudo di produzione facente parte di un blocco produttivo che aveva i suoi nervi logistici altrove. 
Furono i contadini che lavoravano a Vicaretto e a Bilìci, come mezzadri o braccianti, a fondare, nel 1754, il vicino paese di Villalba.

Villalba ai primi del '900


Terre di produttività record
Erano infatti terreni eccellenti a vocazione cerealicola e ne fa fede la testimonianza di un famoso  professore universitario di agricoltura, l'abate Paolo Balsamo, i quale attraversando il 14 e 15 maggio 1808,  l’ex baronia di Bilici, descrive nel suo giornale alcune delle migliori possessioni della zona e fra queste Vicaretto, feudo di proprietà dei Principi di Valguarnera, di circa 1000 salme palermitane, cioè l'equivalente di 1.746 ettari, più esteso di Tudia (1.309 h) e che in origine costituiva quindi più di un quarto dell'intera baronìa di Bilici.
Balsamo sottolinea la eccellente qualità di queste terre. Sono terreni ampi, continui, senza sassi né “sodaglie”, con i soli borri, cioè canaloni scavati dallo scolo delle piogge (“torrenti asciutti” gran parte dell’anno) e allo stesso tempo, completamente privi di elementi abitati: niente piantagioni, niente locande, niente popolazioni, quindi adatti a cerealicoltura e pascoli estensivi.

L'abate Paolo Balsamo

Si sofferma sulla produttività eccezionalmente alta, grazie alla composizione del terreno argilloso-sabbioso, ricco di humus naturale, e alla continuità delle rese anche su più anni, tanto da poter annoverare Vicaretto fra le contrade più fertili di Sicilia.
Addirittura nel calcolare il “fitto mezzano” (canone medio stimato), ogni salma di Vicaretto ne valeva 3 di Palermo.
Balsamo conferma inoltre che il feudo Vicaretto non avesse alcun centro abitato strutturato (borgo, casale) al suo interno.
Se ne desume che i contadini che vi lavoravano nei soli periodi di lavori intensi vi soggiornassero in abitazioni precarieE di queste troverà traccia sin nel 1956 Danilo Dolci.


Danilo Dolci ai tempi della sua
 inchiesta nei "feudi" siciliani

I pagghiari
Dopo una indagine compiuta nei latifondi della zona, Dolci menzionerà "Vicarietto", nel suo racconto La patata, come una di quelle masserie di pagliari da lui visitate, con alloggi di campagna in pietra e paglia, ove erano costretti a vivere in condizioni di isolamento e arretratezza quelli che egli presentava come veri schiavi moderni, legati alla terra ove lavoravano.
 
Il triangolo di diminuita gravità 
Una curiosità scientifica: l'Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo discusse ai primi del Novecento di una indagine scientifica che aveva coinvolto Vicaretto. 
Nel periodo 1904-1906 erano state effettuate misure di gravità in vari luoghi della Sicilia, per verificare se, in certi punti, la gravità mostrasse anomalie negative, cioè “deficienze di gravità”.  
Era stato scoperto un “triangolo di diminuita gravità” definito da tre punti Vicaretto (Villalba), Caltanissetta e Castrogiovanni: la forza di gravità misurata risultava leggermente inferiore al normale. 
Ciò poteva essere dovuto a un “difetto di massa nel sottosuolo” cioè al fatto che la roccia o il terreno sotto quei punti fosse meno denso, oppure vi fossero cavità, materiali disgregati, o suoli poco compatti. 

Nascita di Castellana Sicula 
Nel 1947 con lo scorporo di Castellana Sicula da Petralia Sottana, anche Vicaretto passò al territorio del nuovo comune, nonostante ne distasse ben 34 km.

La riforma agraria
L'ultima delle sorprese, dopo tanta faticosa ricostruzione storica: secondo lo studio del sito VacuaMoenia, l'odierno Borgo Vicaretto e la casa cantoniera di Vicaretto non sarebbero materialmente costruiti sul feudo di cui stiamo trattando, bensì su fondi dell’ex feudo Tùdia. Non abbiamo dati riguardo a questa affermazione.
Le fonti ufficiali (ESA, ecc.) confermano l’inquadramento nel P.R. 80 ma non nominano esplicitamente il feudo di origine.



La vecchia casa cantoniera
La si vede passando sulla SP112 (ex SS121) tra Petralia Sottana e Castellana Sicula, intorno ai km 158–159. Si tratta di una delle case cantoniere più antiche della zona: è già presente come riferimento topografico in un progetto del 1941 (il borgo fascista mai realizzato “Giovanni Ingrao – Tudia”). Questo permette di collocare l’edificio almeno agli inizi degli anni ’40, probabilmente anche prima, nella fase in cui venivano standardizzate le case cantoniere lungo le strade statali.



La casa cantoniera di Vicaretto precede il vicino Borgo Vicaretto, costruito dall’ERAS tra il 1958 e il 1968 nell’ambito della riforma agraria del feudo Tudia. Da decenni è chiusa e con aperture murate, ma ancora riconoscibile dalla strada. Rispetto alle foto qui sopra, ora è completamente crollato il tetto.

Questi edifici, oggi quasi tutti in rovina, nascevano con una funzione precisa: ospitare il personale addetto alla manutenzione del tratto stradale, garantire ricovero per attrezzi e materiali, e fungere da punto di appoggio in condizioni critiche (maltempo, neve, dissesti) e seguivano una tipologia uniforme: volume rettangolare a uno o due piani, muri in pietra o laterizio, tetto a falde, poche aperture regolari e interni molto essenziali (alloggio e deposito attrezzi). 



Borgo Vicaretto : la fase ERAS
“Borgo Vicaretto” nacque il 19.3.1958 e fu uno degli ultimi villaggi rurali della riforma agraria, costruito lungo la S.P. 112 (da Bivio Catena Vecchia a Villalba) a partire dalla fine degli anni ’50 sino al 1968, nell'ambito del piano di ripartizione n. 80.

In una prima fase, in base al programma ERAS del 26.8.1955, venne predisposto un primo progetto di borgo rurale del tipo C da parte dell'Ing. Barresi. Non andò a buon fine e nel 1958, sulla base di un nuovo progetto a firma dell'Ing. Panico, e con lavori affidati alla SILES, vennero consegnate agli  assegnatari 21 unità abitative ad un piano, sul modello Binuara/Capparrini, posizionate a schiera sul pendio della collina, in due gruppi di cinque. 


Era prevista in origine anche una scuola rurale per servire anche le case coloniche dell'intero piano di ripartizione 80 (e quindi anche di Tudia) 
La scuola però non venne realizzata in questa fase.

L'abbeveratoio reca la scritta ERAS ma nessuna data 


La fase ESA
Metà degli edifici consegnati nel 1958 risultarono pericolanti, oltre che brutte, e addirittura non superarono il collaudo, tanto da determinare nel 1966, solo otto anni dopo, un'ordinanza di sgombero degli occupanti. Vennero demoliti o abbandonati, e  l'ESA nel 1968 consegnò undici nuovi alloggi, su progetto diverso, che vennero a sostituire e integrare le vecchie costruzioni.

Inoltre, essendo necessari dei servizi, nel 1966 l’ESA incaricò l’arch. Barraco che predispose sia un progetto ex-novo di scuola-asilo, che uno per una chiesa, con annesso edificio alloggi a due piani. Gli edifici sono accorpati in un unico Centro Sociale, situato in cima alla collina, soluzione poi effettivamente realizzata.
Una particolarità del borgo, per la sua conformazione "a ventaglio", sul terreno in lieve pendenza, è l'assenza di una piazza. 


Chiesetta della Madonna della Pace e Centro Sociale

La chiesa fu consacrata nel 1969 e dedicata alla Madonna della Pace; custodisce statue della Madonna di Fatima e di S. Giuseppe.
Figura centrale per Vicaretto fu uno degli assegnatari, Giuseppe Zafonte, che sovrintendeva a titolo volontario alla piccola manutenzione e realizzò a sue spese la porta del centro sociale e della chiesa.


Facciata della chiesa
Foto tratta dal blog Voxhumana


Un fatto di cronaca del 1962
Nel Piccolo di Trieste del 5.1.1962 troviamo inaspettatamente traccia di Vicaretto: in seguito al furto di un gregge di 100 pecore, un gruppo di sei carabinieri, che stavano effettuando in ora notturna un servizio di battuta a Vicaretto, avevano subito colpi di pistola e di fucile da parte di alcuni uomini nascosti dietro una siepe. Ne era seguito un vero conflitto a fuoco a poca distanza con i militari armati di mitra, ma i malviventi erano riusciti a dileguarsi. Erano stati sorpresi proprio durante il trasferimento del gregge rubato, che era stato ritrovato poco dopo nei pressi di Marianopoli.


Edicola votiva


Un borgo ormai disabitato
Borgo Vicaretto esiste da 67 anni, e nel 1971 contava una ventina di abitanti, ridotti nel 2011 a 3 soli nuclei familiari. Oggi la contrada è quasi deserta.

Il biologico, una promessa di rinascita
Nel 2021 Vicaretto ha rischiato di essere scelta come area di deposito di scorie radioattive. Questa evenienza è stata fortunatamente evitata in ragione della stretta vicinanza della contrada con il Parco delle Madonie, e del fatto che ricada in area sismica.
Oltre tutto, ciò avrebbe stroncato sul nascere lo sviluppo di nuove imprese agricole che si sono orientate prevalentemente sulle coltivazioni biologiche, innovando e sperimentando nella coltivazione di erbe officinali e di altre colture ad alto valore aggiunto, alternative alla tradizione plurisecolare della coltivazione del grano. Un patrimonio assolutamente da preservare.




Cenni bibliografici

Memoriale deli procuratore della Deputatione delli stati di Ferdinando Aragona e Moncada duca di Montale e prencipe di Paternò e consorti21 maggio 1689, in Archivio di Stato di Palermo, Archivio Moncada  b. 3081 

Memoriale di Mariano e Francesco Castiglione eredi universali dell'abate Antonino Castiglione, 25 settembre 1659, in Archivio di Stato di Palermo, Archivio Moncada  b. 3082 

- Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia nella traduzione di Gioacchino Di Marzo, vol. 2, Palermo, 1757/1859

- Allegazioni di Giuseppe Pasquale Cirillo ... distribuite in più tomi dall'avvocato Domenico Bracale..., Napoli 1780, tomo allegazione VIII

- Repertorio dei processi di investiture feudali dal 1452 al 1812 del Protonotaro del Regno di Sicilia

- Antonino Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, A. Reber, Palermo 1912 - volume 2

- Vincenzo Palizzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, Palermo 1871-75- Francesco Maria Emanuele e Gaetani, Marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, parte 2, edito nella Stamperia de' Santi Apostoli in piazza Vigliena, Palermo 1754

- Paolo Balsamo, Giornale di viaggio fatto in Sicilia e particolarmente nella contea di ModicaR. Stamperia, Palermo 1809.

- Antonino Mango, marchese di Casalgerardo, Sui titoli di barone e di signore in Sicilia: ricerche storico-giuridiche, A. Reber Editore, Palermo, 1904

Francesco San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origini ai nostri iorni, vol. IX, 1925

- Danilo Dolci, Inchiesta a Palermo, Einaudi, 1956

- Padre Abate, Castellana, gioiello delle Madonie, Castellana Sicula 1992

- Francesco Figlia, Dall'antico regime all'età contemporanea in un comune ruraleGrifo Edizioni, 1994

- Rosario Ferrara, Ferdinando Mazzarella, a cura di, Petralia Soprana e il territorio madonita storia, arte e archeologia, atti del seminario di studi Petralia Soprana Chiesa S. Teodoro, 4 Agosto 1999, Paruzzo Editore, Comune di Petralia Soprana, 2002 

- Aurelio Burgio, Resuttano: IGM 260 III SO, L.S. Olschki, 2002

- Borgo Vicaretto, ultima speranza della riforma agraria,  sul sito VacuaMoenia

- La Via dei borghi. 45: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. Gli ultimi tre gruppi, ottobre 2015, nel blog VoxHumana  

- La via dei borghi. 47: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. I BORGHI ESA, novembre 2015, nel blog Voxhumana

-
 La via dei borghi. 48: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. I BORGHI DEI CONSORZI, novembre 2015, nel blog Voxhumana


- Arcangelo Vullo, L’ex Baronia di Bilìci: un territorio ricco di storia e crocevia di civiltà antiche, Galleria. Rassegna trimestrale, anno V n. 12 (aprile–giugno 2024) 

- Arcangelo Vullo, Castel Bilìci. Dalla Baronia al Santuario del Crocifisso miracoloso, 2024


Foto di Santina Fumagalli


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