TUDIA
Per i cultori del passato, il territorio storicamente riconducibile alle Petralie è di una ricchezza entusiasmante.
La viabilità naturale delle vallate dell'Imera meridionale e la varietà del paesaggio, con affioramenti calcarei, zone collinari, così come la fertilità e la presenza di acqua, hanno reso l'intera area, sin dall'antichità, particolarmente propizia per l'attività agricola e pastorale. Il popolamento delle campagne è stato ininterrotto e testimoniato da centri abitati e fattorie, bagli o masserie, variamente dislocati.
Tudia ne è un esempio significativo.
Trebbiatura in epoca romana |
Ai tempi dei Greci e dei Romani
In antichità Tudia è stata una fattoria, attiva sia in epoca greco-ellenistica che romana (dal tardo periodo repubblicano al IV-V sec. d.C.). Lo dimostra il ritrovamento, nell'area di 2000 mq circa a sud del borgo attuale, di un numero considerevole di reperti (provenienti da piatti, coppe in ceramica, sia da cucina che da mensa o vasetti in vetro di colore blu e verde-acqua). Oltre a monete romane di cui si è persa traccia.
Come le vicine masserie di Susafa, Ciampanella e Tudiotta, tutte di interesse archeologico, quella oggi presente a Tudia potrebbe quindi essere il retaggio di una mansio romana.
Carta IGM con evidenziati in rosso i luoghi di interesse archeologico tratta dal testo di Aurelio Burgio |
Il feudo
Tùdia, assieme a Chibbò, Manchi e Vicaretto, era uno dei dodici feudi dell'estesa baronia di Castel Belìci. La quale a sua volta, faceva parte della contea di Collesano.
In un antico privilegio del 1231 a firma del re Federico II, che indica i confini del territorio di Polizzi, vengono menzionati i feudi sia di Tutia che di Parva Tutia (la piccola Tudia cioè Tudiotta).
Trazzera di Tudia Foto tratta da |
Nel 1654 il feudo, munito di mero e misto imperio, venne scorporato da Belìci e divenne una baronia autonoma.
In una "fede" del '700, i giurati delle due Petralie attestano il rispettivo territorio delle due università, menzionando "Tùtia" fra i feudi facenti parte del territorio di Petralia Sottana.
Al giorno d'oggi, dal 1947, la contrada fa parte di Petralia Sottana e di Castellana Sicula.
Tùdia, Tùtia o Tùzia?
Per ricostruire le vicende del feudo, nei documenti storici occorre cercare il nome Tùzia.
Infatti l'antico nome della contrada è Tùtia, che risale alla dominazione araba. Al tuwt significa il il gelso, pianta sicuramente molto presente all'epoca in quella zona perché necessaria alla bachicoltura, la quale venne introdotta in Sicilia proprio dagli Arabi.
Ma il nome Tùtia riportato negli atti sin dalle origini del feudo, venne erroneamente interpretato da coloro che li consultavano, come un termine latino (riferito alla vestale romana Tuzia), e da leggere quindi Tùzia. Quando si passò negli atti pubblici e araldici all'uso dell'italiano, il nome venne quindi sempre trascritto, e ciò sino ad oggi, nella forma Tuzia.
Le famiglie cui appartenne Tùdia
Andiamo con ordine. La lunghezza di questa sezione si spiega perché abbiamo scoperto che nella titolarità di questo feudo madonita si sono avvicendati i più bei nomi dell'antica aristocrazia siciliana.
Nel 1541 viene acquistato da Giovanni Notarbartolo barone di Villanova e vicario generale in Sicilia per la Val Demone, che già possedeva dal 1536 il vicino feudo di Manchi (dove oggi si trova Marianopoli). Questa famiglia medievale originaria d'Alsazia all'epoca viveva a Polizzi. Esiste ivi ancora il palazzo dello stesso nome.
Giuseppe, figlio di Giovanni e di Ippolita Cardona dei conti di Collesano, fu Vicario Generale per la Val di Mazara, Capitano d’arme della città e marina di Cefalù.
Il feudo viene poi rivenduto nel 1562 al duca di Montalto e conte di Collesano Antonio d'Aragona Moncada (Palermo, 1587 – Napoli, 15 aprile 1631) che lo dona poi nel 1627 a suo figlio, il cardinale Luigi Guglielmo d'Aragona Moncada (Collesano 1614 - Madrid 1672), pure lui conte di Collesano, oltre che presidente del Regno di Sicilia, viceré di Sardegna e del regno di Valenza.
Nel 1635 Luigi Guglielmo vende Tudia a Vincenzo Curti. La famiglia Curti o Curto, di conti e cardinali, di origine francese, ebbe infatti un ramo anche in Sicilia.
Nel 1748 Isabella Sammartino Ramondetta e Curti trasmette il feudo e il titolo, insieme ad altri, alla propria figlia Bianca La Farina, coniugata con Gerolamo Filangieri principe di Cutò (dal francese Couteaux) e quindi al proprio nipote Alessandro Filangieri (1740-1806).
Si trattava di una famiglia molto antica ed importante e Alessandro, barone di Tuzia, non fu solo un militare di alto grado che combatté valorosamente contro Napoleone a Lodi, ma anche un luogotenente generale del Regno Borbonico (cioè viceré di Sicilia). Ai suoi funerali assistettero il re Ferdinando IV di Borbone e sua moglie Maria Carolina.
Dai Filangieri la baronia passa poi ai Mastrogiovanni Tasca, conti di Almerita (altra famiglia di spicco), in conseguenza del matrimonio fra Giovanna Nicoletta Filangieri, baronessa di Tuzia e Lucio Mastrogiovanni Tasca.
Nello stemma in pietra del portone d'accesso alla masseria di Tudia si legge proprio il nome del barone Lucio Mastrogiovanni e la data del 1843. Sotto il balcone della dimora padronale, si ritrovano le corrispondenti iniziali BLM.
Una curiosità: Giovanna Nicoletta Filangieri, baronessa di Tuzia ed il marito Lucio Mastrogiovanni Tasca, furono i nonni sia dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa che del poeta Lucio Piccolo di Calanovella.
Nel 1910 parte dell'originario feudo viene venduto dagli eredi Mastrogiovanni alla famiglia Pucci di Benisichi, che soggiornava in estate nel vicino ex feudo di Tudiotta.
Nello stesso anno, la parte del feudo comprendente la masseria e i dintorni viene acquisita invece da Don Liborio Di Salvo, ed ereditata poi da suo figlio Vittorio, ed infine dalla figlia di lui Giuseppina Di Salvo-Li Destri.
La stessa sposò il marchese Antonio De Gregorio, e nel 1965, rimasta vedova, salvò la tenuta, prendendone le redini e lasciandola poi del tutto rinnovata a figli e nipoti.
La masseria di Tùdia
Le masserie esistettero sin dal XIII sec. Lo dimostrano le norme emanate da Federico II che le organizzavano, nelle terre feudali, con la funzione di centri operativi piuttosto che di unità amministrative.
Nel '600 servirono alla gestione locale della monocultura, dell'attività cerealicola. Vi si raggruppavano gli edifici funzionali alla direzione delle attività di coltivazione, all'immagazzinaggio del grano e al suo successivo trasporto per la vendita.
A questo scopo, e per proteggersi da razzie di predoni o di briganti, tutti gli edifici venivano costruiti attorno ad un ampio cortile, il baglio, sul quale si affacciavano la dimora padronale e l'alloggio del massaro e i vari edifici necessari alla gestione del fondo, stalle, magazzini, ricoveri per attrezzi, la colombaia e vari locali destinati alle comuni necessità di coloro che vivevano nella masseria: cucina, forno, deposito per il formaggio ecc.
Il portone di accesso al baglio |
Si veniva così a creare una struttura autosufficiente e murata, munita di un portone in legno sovrastato da una lunetta detta muscaruolo e dallo stemma dei nobili proprietari, struttura difficilmente aggredibile dall'esterno, anche perché gli abitanti erano armati.
L'ampio e lungo sottoportico serviva da vestibolo e gli estranei vi deponevano le armi.
Foto Pietro Ticali |
Foto tratta dalla pagina FB dell'Agriturismo Feudo Tudia |
Il baglio con ciotolato su cui si affacciavano tutti gli edifici e che aveva un'ampiezza non inferiore a m 20 x 20 circa, per assicurare lo smistamento del grano, i movimenti di carico e scarico e l'organizzazione delle rietine di muli con le quali si provvedeva al suo trasporto finale.
Foto Pietro Ticali |
Qui sopra la dimora padronale dove il nobile proprietario alloggiava con la sua famiglia per qualche mese in estate, durante il raccolto. Unico edificio sopraelevato e dotato di balconi e ampie finestre rispetto agli altri. L'appartamento è al primo piano.
Nella masseria abitavano stabilmente solo gli operatori interni, primo il soprastante e poi il curatolo, il ribattiere e lo zammataro, addetti alla produzione del formaggio.
I contadini di Tudia vivevano direttamente nei terreni del feudo, nei pagghiari. Nei 250 ettari del feudo di Tùdia ce n'erano almeno 40 sul Cozzo Duca. Fatti di pietra e con il tetto di paglia, alti talvolta poco più di un metro e mezzo, senza camino, vi si ammassavano, specie nella stagione della mietitura, centinaia di persone, interi gruppi familiari, accanto al mulo, ai maiali e alle galline.
Un retaggio del passato: nelle masserie, dal '600 in poi, non potevano vivere le donne. Le mogli degli addetti alla masseria dormivano appunto nei pagliai.
Ampi magazzini per i cereali |
La chiesetta
Padre Abate scrive che la chiesa oggi diroccata sia stata realizzata nel 1842 dal barone Mastrogiovanni, con il contributo di diversi mezzadri. All'interno esisteva un busto in pietra del barone.
Però già nel 1700 un documento presente nell'archivio della Chiesa Madre di Petralia Sottana, menziona la chiesa stessa, dedicata alla Madonna della Neve.
Le foto sono di Peppino Bongiorno che ringraziamo |
La vegetazione invadente lascia appena intravedere le decorazioni di stile classico della facciata principale. La campana originaria è ancora presente. Data la vicinanza con la masseria, alla quale appare rivolta la facciata principale della chiesetta, due sono le conclusioni possibili: esisteva in loco una chiesa prima del 1843, la quale forse fu integralmente ricostruita allora, ma con ogni probabilità esisteva anche una precedente masseria o casale cui corrispondeva la chiesa originaria. Gli edifici della masseria datati 1843 probabilmente hanno sfruttato una preesistente struttura.
La riforma agraria
A Tudia gli antichi edifici si affiancano a alcune costruzioni di chiaro stile razionalista.
Infatti nel Ventennio e nel II Dopoguerra la contrada venne scelta svariate volte per la creazione di un borgo di coloni agricoli. Nel 1941 l'ECLS (Ente di Colonizzazione dl Latifondo Siciliano) vi programmò la realizzazione di Borgo Ingrao, intitolato a Giovanni Ingrao, militare caduto eroicamente agli inizi della II Guerra Mondiale, un borgo che avrebbe dovuto sorgere su di una collinetta, di fronte alla casa cantoniera Vicaretto.
Il progetto dell'Ing. Pietro Villa prevedeva una scuola, una casa del Fascio, una stazione Carabinieri, la collettoria postale, la casa sanitaria, l'ambulatorio veterinario e la chiesa.
Venne costruita qualche casa colonica ma il progetto di Borgo Ingrao svanì, secondo la versione ufficiale, per gli eventi bellici, ma nel 1950 venne sostituito, a cura dell'ERAS (Ente di Riforma Agraria per la Sicilia) da quello del Centro Aziendale di Tudia, sito a 2 km di distanza dall'originario sito e vicino stavolta alla masseria.
Progetto Tratto dal blog Voxhumana |
Avrebbe dovuto comprendere una chiesa, quattro magazzini per cereali, un magazzino per formaggi, un deposito concimi chimici, una dispensa, sei vani per abitazioni dei coloni, cinque vani a piano elevato ad uso padronale, un'officina, una tettoia per macchinari, un forno ed infine una grande tettoia chiusa divisa ed utilizzata per alloggi.
L'abbeveratoio |
Nel 1955 a Tudia giunse l'energia elettrica.
In definitiva le uniche realizzazioni, ormai in pessime condizioni, sono l'edificio adibito congiuntamente a scuola elementare e Caserma dei Carabinieri a cavallo, un edificio ad uso abitativo e un ampio abbeveratoio.
L'ex scuola/caserma dei Carabinieri a cavallo |
Le inchieste sulle condizioni dei contadini a Tùdia
Nel 1955 il sociologo e poeta Danilo Dolci, il "Gandhi della Sicilia", si recava a visitare a Tùdia il "villaggio" di capanne di paglia, constatandone le condizioni di miseria, che non erano mutate dall'Unità d'Italia, quelle stesse che erano state rilevate nel 1876 da Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti nella loro relazione sulle condizioni economiche e sociali in Sicilia.
La lotta contadina era però iniziata. Il 13 luglio 1951 la ripartizione dei prodotti nel feudo Tudia tra i proprietari fratelli Di Salvo e i mezzadri determinò l'intervento sul posto della Polizia, a richiesta dei proprietari, terminato con l'arresto del segretario provinciale della Confederterra di Caltanissetta e di altri sei mezzadri, che chiedevano la ripartizione del prodotto secondo i decreti Gullo. Il fatto suscitò un'interrogazione parlamentare in cui si chiedevano provvedimenti.
Nel 1959 L'Espresso pubblicò un'inchiesta dal titolo L'Africa in casa, corredata di foto significative, in cui si rivelava che a Tùdia nulla era cambiato. I contadini, intervistati da grandi inviati come Eugenio Scalfari, vivevano ancora come schiavi, tiranneggiati da baroni e marchesi, sovrastanti e campieri, e prigionieri in un mondo fuori dal mondo.
Nel 2011 Attilio Bolzoni de La Repubblica tornò a Tùdia constatando per fortuna che quel vecchio mondo era scomparso per sempre. Molto era dovuto al venir meno della mano d'opera per effetto dell'emigrazione.
Ma soprattutto nel 1965 aveva preso le redini della masseria Giuseppina Di Salvo, marchesa De Gregorio, la quale aveva salvato la tenuta dal dissesto finanziario, trasformandola radicalmente. Da gigantesco latifondo granicolo feudale in una azienda agricola moderna biologica : vigne, oliveti, frutteti, pistacchieti, oltre ad orti, canali e due laghetti.
Nei locali della masseria venne inoltre realizzato un elegante agriturismo.
Foto tratta dalla pagina FB dell'Agriturismo Feudo Tudia |
Cenni bibliografici
- Fede dei giurati delle due Petralie dei feudi esistenti nel territorio comune notificati secondo la posizione dai giurati dell'una o dell'altra università. Atti Corte Giuratoria anno 1702, fogli 222-224, Biblioteca Comunale Frate Umile Pintorno di Petralia Soprana
- Repertorio dei processi di investiture feudali dal 1452 al 1812 del Protonotaro del Regno di Sicilia
- Annali della felice città di Palermo, prima sedia, corona del rè, e capo del regno di Sicilia...Volume 3, Di Agostino Inveges, 1651
- Biagio Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, G. Raillard, Napoli 1691
- Francesco Maria Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, volume 2, Forni, 1757
- Borghi di Sicilia, Rivista "Giglio di Roccia" n. 2/1942
- Danilo Dolci, Inchiesta a Palermo, Einaudi, 1956
- L'Africa in casa, inchiesta del giornale L'Espresso, 1959
- Padre Giuseppe Abate, Castellana, gioiello delle Madonie, Società Grafica Madonita, Castellana Sicula 1992
- Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area limitrofa al Parco delle Madonie, ricadente nel territorio dei comuni di Caltavuturo, Castellana Sicula, Petralia Sottana e Polizzi Generosa. (GU Serie Generale n.152 del 01-07-1996)
- Aurelio Burgio, Resuttano (IGM 260 III 50),
Olschki, 2002
- Sito Vacuamoenia, Borgo Giovanni Ingrao - Tùdia
- Peppino Bongiorno, Luciano Mascellino, Chiese e conventi di Petralia Sottana. Usi, maestranze e manufatti di sette secoli, Il Petrino, 2011
In ricordo del grande Mimmo Gulino
senza il quale questo post e tanti altri
non sarebbero stati mai scritti.
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