QUAZÀRISI I SCARPI DI PILU

 



di Peppino La Placa

Anch'io da ragazzo ho calzato i scarpi di pilu per qualche particolare occasione (come circari i vavaluci) e per la loro grande praticità e funzionalità; infatti erano leggerissime e non si appiccicavano al terreno bagnatoPer alcuni contadini, per u zu Sarvaturi u capuni, ad esempio, erano le calzature giornaliere dell'inverno nei piccoli lavori di campagna, per i miei parenti lo erano più di rado.

A Raffo venivano costruite soltanto con il cuoio del maiale, ricco di setole, tagliato a strisce larghe 25-27 cm e più (per il mio piede n. 41) e lunghe al bisogno, cuoio morbido perché usato fresco, subito dopo l'uccisione dell'animale, oppure ammorbidito nell'acqua anche dopo anni. Tuttora ne ho una falda arrotolata, appesa al tetto del magazzinetto di campagna.

Il procedimento non era difficilissimo: a qualche centimetro dal bordo, il cuoio per la scarpa, posto su una base di legno duro, veniva intaccato, nei due lati più lunghi e in un lato corto, tracciando una linea tratteggiata con uno scalpellino ben tagliente di alcuni millimetri di larghezza (circa 4). 


Foto di Saro Lodico

Un pezzo qualsiasi di cuoio di maiale veniva tagliato con coltello o forbice, come per farne un lungo e robusto laccio da scarpone, e con questo laccio - u rùocciulu - si procedeva a dare forma alla scarpa quazata.
Si avvicinavano a cresta di gallo, dal lato stretto, le due parti del cuoio tagliato per la scarpa e si univano strettamente con u rùocciulu per farne la parte anteriore; si continuava ai due lati a cucire con le parti du rùocciulu e a stringere, per dar forma alla scarpa e giungere alla parte del calcagno. 


Foto di Saro Lodico

Qui si formavano con il rimanente rùocciulu due anelli, ai quali successivamente si affidavano i legacci per la gamba. I legacci erano di vario tipo a seconda dell'uso cui era destinata la scarpa: se per lavoro erano robusti, se per il folklore venivano colorati all'uso.


Petralia Sottana 1927
Foto di Giuseppe Collisani


La parte di questa operazione che infine mi affascinava, era il modo di calzare queste scarpe: osservavo u zu Sarvaturi che dopo aver prelevato le due scarpe appese fuori all'inferriata del pianerottolo, contro i cattivi odori o i furti da parte di cani golosi del cuoio, si infilava i calzettoni di lana che la za Maranarda sapientemente gli aveva sferruzzato, avvolgeva al piede alcune pezzuole per difenderlo dal freddo e da quant'altro, infine lo copriva avviluppandogli attorno la pezza di alona che proteggeva dal freddo, dalla pioggia, dall'acqua stagnante, da tutte le avversità gravi. Il tutto, con i legacci che si incrociavano dal calcagno a salire su tutta la gamba, diventava una calzatura leggera, protettiva e sicura.

Oggi nelle manifestazioni folkloristiche vediamo scarpe quazate di cuoio di vitello, calzettoni e legacci di vario colore, Essendo il folklore manifestazione di vita reale e non solo espediente gioioso, ha un ruolo socialmente importante nell'allegria estiva. 


Gruppo folk U Rafu di Raffo

I scarpi di pilu non sono un'esclusiva delle Petralie. Si ritrovavano, sotto forme leggermente diverse, in vari paesi prossimi all'area madonita.
In questa xilografia del 1894 tratta da "Le cento città d'Italia", supplemento del Giornale Il Secolo di Milano, sono indossate da un contadino di Nicosia.


Nicosia 1894

Possiamo vedere calzature simili anche nella foto di Robert Capa che segue, una foto famosa in tutto il mondo, ove è stato immortalato nel luglio del 1943 un contadino di Sperlinga, nell'atto di fornire indicazioni ad un ufficiale dell'esercito americano.


Foto del 1943 tratta da Slightly Out Of Focus di Robert Capa


Ringraziamenti per le foto ad Agroverdi di Saro Lodico.


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