COME GIOCAVANO I NONNI

Bambini di Petralia Soprana ai primi del XX secolo


Intervistando i nonni delle Petralie è possibile fare un inventario della creatività infantile in tema di giocattoli. Quando erano bambini, i giocattoli non venivano comprati ma ideati e realizzati direttamente da loro. Il principio era semplice: ricavare tutto ciò che si poteva da quanto era a disposizione, risorse della campagna, scarti di casa o delle officine artigianali locali.

Zero soldi, molta inventiva. Gran parte del divertimento consisteva proprio nell'elaborazione dell'idea, nella ricerca dei materiali e nella realizzazione del progetto, con il rispetto di necessari tempi tecnici di attesa fra una fase e l'altra. Tutto ciò insegnava ai bambini a confidare nelle proprie capacità, più che nell'intervento dei genitori, per la realizzazione dei desideri.

Ma c'è di più. Perché i bambini di cinquant'anni fa, senza saperlo, tramandavano un sapere fanciullesco millenario. Infatti, come vedremo, i giochi più comuni avevano origini che si perdevano nella notte dei tempi.


U dirigituri


U dirigituri
Da una ruota di autovettura, bruciata la gomma, si recuperavano i due cerchi in acciaio. Il cerchio veniva poi fatto rotolare, servendosi di un pezzo di fil di ferro appositamente forgiato in modo da collegarsi al cerchio, e da dargli spinta e direzione, da dove appunto il nome di "dirigituri". 
Il  gioco era spesso pericoloso perché il guidatore del cerchio si lasciava prendere dal suo compito e non si accorgeva dell'arrivo di macchine o motociclette.


Trokis  nella decorazione
 di un'anfora greca


Il fascino esercitato sui bambini da tutto ciò che rotola, risale agli albori della civiltà. Infatti questo gioco del cerchio è uno dei più antichi che si conoscano, ed è raffigurato sia in affreschi egizi che in diversi vasi della Grecia antica.
Il cerchio greco (trokis) era realizzato in legno o in bronzo. Vi venivano anche inseriti altri cerchietti metallici più piccoli che girando, urtavano tra loro, producendo un rumore assordante.


Quadro di Bruegel il Vecchio
Olanda 1560


U dirigituri si ritrova anche nel quadro cinquecentesco Giochi di bambini del pittore fiammingo Bruegel il Vecchio.


Collezione Cassaniti

U carrammattu   
Le mamme andavano incontro ad un'anomala perdita di bottoni dagli indumenti e alla clandestina sottrazione dei rocchetti di filo. Infatti i primi servivano a giocare a ziddata e i secondi potevano servire come ruote di vario genere o come yo yo. 
Per costruire u carramattu occorreva intagliare nel bordo del rocchetto dei "denti" con il coltello e inserirvi al centro un pezzetto di candela. Erano poi necessari un chiodino, un pezzetto di legno tondo di 5 o 6 cm (un rametto) e un elastico ricavato da una vecchia camera d'aria di bicicletta. Con il graduale svolgersi dell'elastico, il carrarmato poteva arrampicarsi anche su pendii e superare ogni sorta di ostacoli. Venivano preparati allo scopo appositi percorsi con dossi e cunette e si organizzavano delle gare.

A freccia 
Questo era il nome dato a Petralia Soprana alla fionda. Veniva ricavata da un ramo biforcuto di muddia (frassino), il cui legno era duro ma "curvava". Il ramo veniva tagliato quando era ancora verde, d'inverno o in primavera, dopo di che con un filo di ferro si legavano le due estremità della fionda fra di loro, in modo che si curvassero l'una verso l'altra, e le si teneva così per una ventina di giorni, sinché il legno non si fosse seccato.




L'elastico veniva ottenuto tagliando sottili strisce da camere d'aria. Le laniere venivano legate con cordicelle alle due punte del ramo, e al centro, veniva inserito un pezzo di cuoio ricavato da scarpe vecchie, che serviva per contenere la pietra da lanciare.


Foto di Michele Gennuso


Anche le origini della fionda sono antichissime. Il suo antenato era un'arma vera e propria, la frombola, che aveva un funzionamento analogo. Il supporto in legno della fionda attuale presuppone l'uso di un elastico, ma, prima dell'invenzione della gomma, era necessario usare due lacci lunghi collegati alla sacca ove inserire la pietra, e dar loro un movimento rotatorio al di sopra della testa, analogo a quello del lanciatore di lazo. 
In antichità, la frombola era usata dalla fanteria delle popolazioni mediterranee come vera e propria arma
Anche la frombola era conosciuta ai bambini petralesi, che la chiamavano "junna".


Frombola usata dai soldati assiri
bassorilievo di Ninive (700 a.C circa)

L'arco
Così come per la "freccia", si procedeva a curvare rami di muddia per realizzare un vero e proprio arco.



Trottola romana I-III secolo d.C.
Museo Archeologico di Milano

A strummula
Anche la trottola in legno era di grande uso nelle Petralie, e somigliava in modo notevole a quelle dei reperti archeologici dei tempi romani. Ne esistevano due tipi: a strummula e u strummuluni, grande il doppio della prima.




Per realizzare la trottola, occorreva però l'intervento di artigiani qualificati. Innanzitutto di un lignamaru, cioè di un falegname. Ma poi anche di un firraru, cioè di un mastro di forgia, per aggiungere alla strummula una punta in acciaio, che la rendesse così dura da poter rompere quelle degli amici, quando veniva lanciata. A Petralia Soprana, il miglior realizzatore di strummuli era Mastru Nardu La Placa, noto "U perpetuu", che era stato in Germania ed aveva imparato ad azzariare le punte, rendendole resistenti con il bicromato che, in tutta segretezza, comprava in farmacia.


Foto di Michele Gennuso


La slitta
Le sedie rotte di casa venivano preziosamente accantonate dai bambini. Quelle mezze rotte si cercava di finire di romperle al più presto.... perché sulle strade scoscese potevano servire da slittini, da usare sia in inverno che in estate. Veniva utilizzato solo lo schienale della sedia, che con la sua lunghezza e curvatura si prestava allo scopo, e fra i montanti veniva legata una tavola ove sedersi. 
In estate, la slitta veniva usata a Petralia Soprana in contrada Pinta, nella discesa dal Castello alla via Generale Medici. Si aspettava la fine delle operazioni di trebbiatura per dirottare un po' della paglia, da spargere sulla via, per renderla più scivolosa.
In questo sport, era garantita una ricca collezione di scorticature e di lividi in ogni parte delle gambe, dato che i calzoncini corti erano l'indumento basic portato dai ragazzini di allora in ogni stagione dell'anno, anche con temperature sotto zero.





U friscaliettu
Da un pezzo di canna, veniva ricavato un flautino. Svuotata e ripulita accuratamente la canna, con un ferro rovente venivano praticati dei buchi e l'ancia veniva realizzata con un pezzo tratto dal fusto della "ferra" (ferula mediterranea).
Sempre che non ci accontentasse della estemporanea zampogna fai da te.

La zampogna
A maggio, tagliato con i denti un filo dell'erba detta "ina", lo si faceva vibrare fra le labbra ottenendo per qualche breve minuto, un suono simile a quello di una zampogna. Cliccare qui per vedere come si faceva.


Il mitico carruzzuni, per poter scendere,
doveva prima essere spinto in salita

U carruzzuni 

Ispirandosi ai corridori della Targa Florio, con delle tavole e dei cuscinetti a sfera, i bambini realizzavano un mezzo di locomozione che garantiva l'ebbrezza della velocità, da usare per strada in gare spericolate, ovviamente corredate di spettacolari capitomboli. Servivano almeno tre cuscinetti, due posteriori fissi e uno centrale anteriore, orientabile e collegato con un manubrio basso. Quest'ultimo poteva essere manovrato tenendolo direttamente con le mani, e quindi tenendosi coricati sulla pancia, ma più spesso da seduti e tenendo i piedi davanti, servendosi per la guida di una sorta di briglia.
Questo carrettino, che assicurava corse vorticose lungo le strade del paese, veniva chiamato a Petralia Soprana "carruzzuni" (in altri paesi siciliani viene chiamato calacipitu). 
Attualmente, è tornato in auge in alcuni paesi delle Madonie, per varie gare e rievocazioni.


Carrettino infantile della Grecia antica
Qui i compagnetti non spingono, 

ma tirano direttamente il carrettino

E' ancora vivo il ricordo di un inflessibile maresciallo dei vigili urbani che negli anni Cinquanta imperversava nelle strade di Petralia Soprana, sequestrando ai bambini carruzzuna e palloni, e dando vita a memorabili inseguimenti a capofitto per via Loreto. I ragazzini si erano ridotti a nascondere i loro preziosissimi mezzi sopra gli archi dell'antico acquedotto, a prezzo di pericolose scalate, servendosi dei buchi da ponte ivi presenti. 
Ma il pericolo non era un elemento da prendere in considerazione, in quei tempi eroici in cui farsi male comportava anche una solenne "abbuscata" a casa.



Collezione Cassaniti

Il monopattino 
Gli stessi cuscinetti usati per il carruzzuni servivano per costruire un rudimentale monopattino in legno.


Particolare del freno


Servivano due cuscinetti a sfera, delle viti ad occhiello per lo snodo del monopattino, due assi e un pezzo di legno per il manubrio. Nelle due assi di legno bisognava praticare degli incassi per sistemare i cuscinetti montati su di un pezzo di legno duro.


Particolare dello snodo

Nella Grecia antica i bambini usavano costruire l'"amaxis", costituito da un bastone o da una tavola, che ad una estremità faceva da forcella ad una sola ruota. Questo antenato del monopattino poteva essere trascinato o spinto, o ancora cavalcato e utilizzato per gare fra ragazzini. 


L'amaxis, antenato del monopattino,
in un vaso greco antico

U manubriu
Fra coloro che erano bambini nella Petralia Soprana degli anni Cinquanta, è ancora vivo il ricordo di un favoloso manubrio realizzato con filo di ferro e attrezzato di parabrezza e quadranti da cruscotto, che, accompagnato dal rombo di motore creato vocalmente, dava l'illusione al suo guidatore di condurre una moto. Un giorno questi, nell'impeto della corsa, andò a sbattere contro la porta della scuola. Ai rimproveri dell'insegnante, non si scompose e si scusò con tono serio: "Un mi tennoro i freni".


U trenta
Dai bastoni reperibili in casa potevano con poca fatica ricavarsi i pezzi del gioco "U trenta", conosciuto altrove come la lippa: servivano due pezzi di legno, uno di circa 50 cm ed uno più piccolo, che veniva affusolato alle due punte. Con il bastone più lungo, a mazza, si doveva colpire una delle due punte del bastone più piccolo, in modo da farlo alzare roteando da terra, per poi colpirlo nuovamente e lanciarlo il più lontano possibile. Anche questo era un gioco pericoloso, sia per le teste dei passanti che per i vetri delle case vicine.
Le origini di U trenta sono molto remote: al Petrie Museum of Egyptian Archaeology di Londra sono conservati vari tipi sia di mazzeche di bastoni corti con le punte affusolate, utilizzati per il gioco ben 3500 anni fa!


Pezzi del gioco usati nell'antico Egitto
Petrie Museum di Londra

In conclusione, per usare le parole di Marco Fittà, questa continuità nelle forme della creatività infantile sembra disegnare "un allegro girotondo in cui i millenni di storia si incontrano gioiosamente e quasi si annullano".


Note bibliografiche

- Marco Fittà, Giochi e giocattoli nell'antichità, Leonardo Arte, Milano, 1997, p.10
- Francesca Iacono, U Calacipitu, modello di storia e tradizione siciliana, tesi di laurea in Scienze dell'Infanzia, - Università di Firenze, 2012
- Elisa Averna, Intrattenimenti ludici dalla Preistoria al Medioevo, Aracne editrice, 2009


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